REPORTAGE SUL FESTIVAL DEL CLASSICO – CIRCOLO DEI LETTORI – TORINO -2021
PROF.SSA EVA CANTARELLA: “LA PANDEMIA AI TEMPI DEGLI ANTICHI”
CLASSE V A – LICEO CLASSICO MICHELE MORELLI – VIBO VALENTIA
COORD. PROF.SSA MARIA CONCETTA PRETA (LATINO E GRECO)
RELAZIONE DI: Antonino Arena, Morgana Figliuzzi, Giampiero Fiorillo
È importante innanzitutto addentrarci all’interno del periodo in cui collochiamo la trattazione. Siamo nella Storia del mondo greco, sarebbe impossibile d’altronde raccontare tutte le pandemie dell’Occidente.
Grandi narratori-cronisti (Manzoni, Boccaccio, Tucidide) hanno trasmesso a noi, riportandoci nei luoghi, l’orrore delle pestilenze e ci rimangono indimenticabili affreschi narrativi
Grazie al Decamenron, sappiamo che a Firenze della “Black Death” proveniente dal Mar Nero, portata in Italia dai maestri marinai genovesi che, da Messina, si estese in tutta l’Europa, a metà del 1300, devastando crudelmente un terzo della popolazione.
La professoressa Eva Cantarella impernia la sua lectio magistralis sulle pandemie ai tempi degli antichi sui tre testi “ad effetto” che trattano tre pestilenze, due mitiche ed una reale. Gli autori sono Omero, Sofocle e Tucidide.
Indagando sulle cause (aitia) della peste, i tre racconti additano la responsabilità morale, (derivante dalla coscienza degli esseri umani) con conseguente eliminazione di ogni tipo di forza esterna all’uomo.
Quando agiamo, portiamo con noi la volontà dell’azione. Ed è proprio la volontà ad implicare la responsabilità etica e giuridica delle nostre azioni e si passa dalla responsabilità oggettiva alla responsabilità soggettiva.
L’excursus parte dunque dall’Iliade di Omero, in cui un Apollo “offeso” genera il castigo, per l’oltraggio di Agamennone a Crise, suo sacerdote. Criseide, figlia di Crise, è la schiava di guerra di Agamennone, che vuole imporre la sua timè e non cederla al padre che chiede di riscattarla. Nell’insulto a Crise, e indirettamente al dio, vi è la casua scatenante la pestilenza nel campo acheo, dovuto all’ira di Apollo.
Agamennone restituirà il suo bottino di guerra, ma solo avendone un altro di pari livello e ciò genererà l’ira di Achille, motore dell’azione negli ultimi 50 giorni di guerra, fino alla catastrofe.
La pestilenza è in questo caso dovuta alla prepotenza e all’arroganza dell’uomo, ma a scatenarla è la divinità. Sono gli dei che determinano la punizione, severi arbitri del destino umano.
Procedendo con il pensiero razionale greco, Sofocle nel 430 a.C., con l’Edipo Re, rappresenta un vero e proprio “paradigm shift” da un punto di vista ideologico.
Edipo è il Re di Tebe. Tebe è in grande difficoltà a causa della sciagura della sfinge che mangiava chi non rispondeva all’indovinello; ma Edipo lo risolve e libera la città, che lo onora con la mano di Giocasta, vedova del re Laio.
Edipo invece è l’Edipo dal piede gonfio, abbandonato dal padre temendo un patricidio, poi adottato dal re di Corinto. La maledizione dell’oracolo lo porta a fuggire via da Corinto per la paura, ma nella strada verso Tebe, in quel manzoniano diverbio tra carri, Edipo uccide Laio, re di Tebe, che è suo suo padre.
Nell’Edipo Re è il matrimonio a determinare la pestilenza, è la razza maledetta e abominevole che contamina il mondo, è la volontà del colpevole di purificare una città che è intrinsecamente macchiata, rendendo la tragedia tragicamente “poliziesca”, è infatti l’indagine di Edipo su sé stesso.
Una tragedia diversa, alternativa, il cui effetto patetico si massimizza nell’orrore di Giocasta per aver avuto quattro figli dal figlio, e ancora nella fuga di Edipo in esilio volontario.
Soprattutto innovativa per l’introduzione della responsabilità oggettiva: Edipo di fatto compie un gesto umano, ma ancora non è consapevole al momento della consumazione dell’atto omicida e poi incestuoso. È una tragedia di “mezzo”, che realizza un embrionale forma di passaggio, un passo eticamente avanti, che poi troverà la sua ragione d’esistenza nell’Edipo a Colono.
Con l’Edipo a Colono siamo nel 406 a.C.: nella tragedia Edipo vaga con Antigone e Ismene e arriva a Colono, nel demo di Atene. Edipo non è benvoluto ma, dopo aver raccontato la storia, dirà: “Io non sono aitios”. È qui che s’introduce il nocciolo della questione: aitios è da intendere con il significato di responsabilità morale, causa morale. Il principio di responsabilità viene messo in dubbio ed Edipo risponde dei propri atti indipendentemente dalla volontà.
Il mondo della vendetta non esiste più, è terminato nel 621 a.C. con Draconte, nel cui codice di leggi severissime l’uccisione di un uomo è di fatto omicidio, reato da punire. È questo un mondo più maturo rispetto al concetto di vendetta: è un processo di maturazione, di crescita che porterà alla responsabilità individuale.
Quando Egisto sposa la moglie di Agamennone, Zeus dirà: “Non abbiamo le colpe che gli uomini ci danno”. La responsabilità non è più divina, ma è tutta di Egisto, è umana.
Si giunge quindi ad un punto, che diventerà “perfetto” (ossia compiuto) in Tucidide. Nel secondo libro delle Historiae, “ktema es aei”, al paragrafo 47, è presente una puntuale analisi nosologica della pestilenza che colpì Atene nel 429 a.C. Una pestilenza che non è “cosa nostra” perché è stata importata dai nemici (o dagli spartani o dagli stranieri dall’Etiopia o dall’Egitto). Un focolaio che si estende dal Pireo e l’affollamento è causa della sua diffusione. Fondamentale è che la divinità sia scomparsa: la peste non è più un castigo, non è una volontà soprannaturale a determinarla.
La lungimiranza di Tucidide lo porta a riportare per iscritto i sintomi, per riconoscere la malattia, dovesse riproporsi. Testimone diretto della peste, ne descrive la sintomatologia.
Sul piano spirituale, la peste è il disordine, è sconvolgimento delle regole civili, ma è anche benevolenza e scoperta della nobiltà d’animo, che porta a soccorrere, a curare, a recarsi sollievo l’un l’altro. La peste deriva dall’uomo e l’uomo continua a diffonderla, totalmente responsabile dei suoai atti, seppur inconsapevolmente.
NARRARE LE PESTILENZE IERI E IL COVID-19 OGGI
Si può così affermare che, attraverso la narrazione poetica, drammaturgica e storica delle pestilenze nell’antica Grecia, nascano i concetti etici e giuridici legati alla responsabilità oggettiva tra fatto ed evento più o meno voluto.
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Omero-> inizio dell’Iliade, Apollo ha castigato l’umanità per via dell’oltraggio a Crise da parte di Agamennone. Tutto si generò da una disputa sui bottini di guerra, legata alla figlia del sacerdote, Criseide, divenuta schiava. Tale vita da “bottino” poteva essere riscattata pagando una somma in denaro al vincitore, la poinée. Agamennone, sentendosi offeso dalla proposta di farsi sottrarre il proprio premio, rifiuta carico di orgoglio e chiede in cambio la schiava Briseide appartenente ad Achille per far avvenire la restituzione della propria figlia al sacerdote di Apollo. Il valoroso guerriero rifiutò la proposta e ciò darà inizio all’inimicizia tra i due eroi.
La timèe di Agamennone si impose così come il castigo divino della pestilenza in battaglia.
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Sofocle -> Edipo Re, la peste concepita come oggetto purificatore della società dall’omicida responsabile della morte di Laio. Nell’Edipo a Colono, la responsabilità oggettiva della prima tragedia sofoclea, dedicata all’eroe tragico, inizia a vacillare.
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Tucidide -> nelle Historiae descrisse una pestilenza diffusasi nel primo anno successivo alla Guerra del Peloponneso, collocata sulla linea temporale verso il 430 a. C.
Proprio con l’analisi spietata e lucida dello storico, fatta con occhio clinico e con precisione nella terminologia del quadro sintomatologico, cogliamo tanti aspetti legati alla nuova epidemia.
L’affollamento, nel libro II identificato come mezzo di aumento della diffusione della peste, crea legami con la pandemia da COVID-19, facilmente contraibile in luoghi di maggiore assembramento.
Nell’opera storiografica, inoltre, la divinità è scomparsa e l’epidemia non è più frutto di un castigo divino, come non lo è la pandemia attuale. Le analogie sono dunque spiazzanti e ci inducono a riflettere.
Viene approfondito un tema più attuale che mai: la recente pandemia da Coronavirus è infatti uno dei momenti della storia in cui l’uomo ha dovuto affrontare e debellare un nemico invisibile.
Sin dall’età classica, la letteratura ci offre numerosi spunti e riflessioni in merito a tale ambito: dalla celebre peste del 600’ che fa da sfondo ai “Promessi Sposi” di Manzoni, la peste del 300 ripresa nel “Decameron” da Boccaccio, passando per Lucrezio fino ad arrivare ai giorni nostri con Camus.
È interessante osservare come, nonostante vi siano di mezzo più di 2000 anni, l’atteggiamento dell’uomo moderno è socialmente identico a quello antico, creando un continuum tra paura, isteria e alienazione. Delimitando il cerchio della riflessione e concentrandosi sul mondo greco, risulta interessante osservare come il passaggio della pestilenza segni il momento in cui l’uomo prende consapevolezza della propria responsabilità morale (intesa come consapevolezza della colpevolezza delle proprie azioni), conquistando la differenza fondamentale tra essere eterodiretti o autodiretti (come siamo noi). Attraverso la presa di coscienza di tale differenza l’uomo antico riesce a toccare il sottile confine tra volontario e involontario, tra l’essere responsabile moralmente e giuridicamente e l’essere (come nel caso di Edipo) un innocente e avere una responsabilità oggettiva o soggettiva. La più antica testimonianza di una pestilenza in ambito greco non può che essere fornita dal mondo omerico, in particolare dall’Iliade, dove Apollo ha scatenato una pestilenza nel campo degli Achei perché Agamennone, volendo imporre la sua timè, ha oltraggiato il sacerdote Crise. Ancora una volta l’uomo ha osato sfidare il divino, ricevendo la sciagura della peste dalla divinità. L’epos omerico ci restituisce quindi una visione ancora arcaica in cui l’uomo è ancora eterodiretto e condizionato dal divino. Importante cambiamento di tale prospettiva avviene nel tragediografo Sofocle tra l’ Edipo Re e l’Edipo a Colono. L’incestuoso Edipo passa dall’essere un responsabile oggettivo della sciagura che ha colpito Tebe, compiendo il gesto dell’accecamento e dell’esilio, al ritenersi nella seconda tragedia un responsabile soggettivo. Il personaggio infatti afferma di non essere aitios, dunque di non essere colpevole e di non essere la causa. Risulta evidente in Sofocle la presa di consapevolezza dell’uomo delle proprie azioni, delle conseguenze e delle responsabilità, l’uomo sofocleo agisce quasi come se fosse un moderno soggetto giuridico. Ultima testimonianza, ma probabilmente la più preziosa per la sua completezza, è la narrazione della peste di Atene del 430 a.C offerta da Tucidide. Lo storico stila, attraverso un racconto completo di dettagli e particolari, una vera e propria anamnesi del male, da storiografo ne indaga le cause e ne riporta gli sviluppi. La più grande innovazione è riportata dall’esclusione delle divinità rispetto alle contese umane, attraverso una sorta di “laicismo” viene indagato l’unico responsabile del contagio: l’uomo. Tucidide riporta abilmente la totale dissoluzione delle norme sociali e dei costumi rispetto ai nuovi atteggiamenti di panico, paura e isteria collettiva. Le tre fonti, per quanto diverse tra loro, rappresentano più che mai un tesoro preziosissimo a cui fare riferimento e su cui confrontare il nostro atteggiamento da uomini moderni, in sintesi, parafrasando lo storico sono “un possesso per sempre”.
Si può concludere che, con le pandemie, nasce un dibattito, sia in Antichità come oggi, sui concetti etici e giuridici legati alla responsabilità oggettiva tra fatto ed evento più o meno voluto.
E, ieri come oggi, ci si chiede:
Come si è originata la pandemia? Su chi ricade la colpa? Chi l’ha veicolata e perché? E chi e come continua a diffonderla?
E l’uomo comune, quanta colpa ha? E quali saranno le ricadute sulle future generazioni?
Supervisione e Revisione a cura della
prof.ssa Maria Concetta Preta