Il sigillo della dea Pàndina: il nuovo giallo archeologico di T. Preta commemora i 50 anni del Museo di Vibo

Gentili lettori del mio blog,

vi condivido questa bella novità, che considero il seguito ideale de “Il segreto dellla ninfa Scrimbia”, il primo fortunato romanzo della mia serie. 

Se vi è piaciuta Scrimbia, non potrete non amare Pàndina!

L’occasione per rileggere la storia recente di Vibo Valentia, che fu detta “Il Giardino sul mare”, tra luci e ombre, come si evince dal sigillo della dea Pàndina. 

Ma chi è Pàndina?

Lo scoprirete attraverso alcuni stralci dal mio giallo. 

Buona lettura  

 SINOSSI DEL ROMANZO: 

 5 luglio 1969: mentre Vibo Valentia è mobilitata per l’inaugurazione del Museo archeologico statale “Vito Capialbi”, un barbaro omicidio si sta per consumare. Un giovane di origine ebrea, Davide, è venuto a conoscenza di un segreto sepolto nel passato e sta per svelarlo, ma ciò gli costerà la vita. Chi e perché l’ha ucciso? E cosa ha a che fare con la sua morte la serie monetale intitolata alla dea Pàndina?  È quanto cercherà di scoprire il commissario Santapaola, imbattendosi nel classico clima di omertà e tenendo testa all’ostinato giudice Trimarchi. Ad aiutarlo, il suo ex professore di Lettere Antiche, noto studioso di esoterismo, la vivace giornalista Lorella e il caro amico di Davide, Massimo. Figure reali e immaginarie si incrociano in un’indagine che terrà il lettore col fiato sospeso, facendogli riscoprire gli anni di Vibo “giardino sul mare”, tra luci e ombre. Nella vicenda, che si snoda nell’arco di una settimana, si inserisce pure la misteriosa e bellissima Elena, interessata al “sigillo di Pàndina”.  Tutto ciò, qualche mese prima che la famosa laminetta aurea di contenuto orfico venga alla luce, proponendo nuovi enigmi da decifrare.

 

 

Estratto di lettura: STRALCI DAL CAP. 1 

La scena si svolge durante l’inaugurazione del Museo archeologico a Vibo il 6 luglio 1969. Ne sono protagonisti il prof. G.Foti,Sovrintendente alle Antichità della Calabria (personaggio reale)  e la giornalista Lorella Labate (personaggio di fantasia, protagonista), colpita da alcune misteriose monete, che danno l’innesco alla “miccia narrativa” del romanzo.

 

  In una cornice di composta solennità e forte emozione, alla presenza delle autorità del territorio, il Soprintendente alle Antichità, prof. Giuseppe Foti, alto e asciutto, lineamenti sottolineati da sottili baffetti, raffinato nel completo scuro, in accordo cromatico con la montatura degli occhiali, illustra brevemente alla platea la storia degli scavi a Vibo Valentia, che in età ellenica si chiamò Hipponion

  Il professore Foti precisa che a Monteleone, questo il nome della città fino al 1928, oltre alla collezione del conte Capialbi, esistevano quella del marchese Gagliardi e del barone Cordopatri e sottolinea che, da oltre un cinquantennio, non si sono svolti scavi sistematici, ma effettuati per pura combinazione.

Una brunetta in tailleur rosa, capelli corti e piglio deciso, munita di taccuino su cui ha annotato tutto il discorso, s’introduce spontaneamente, scattando dalla sedia come una molla.  

  – Gentilmente, potrebbe spiegarci la rarità di queste monete, professore?

  – La questione è semplice: in tutta la Magna Grecia, si conosce solo questa emissione, coniata in Hipponion. Finora è un unicum, signorina.

  – Quello che noi giornalisti chiamiamo scoop!

  C’era da immaginarselo: è una ficcanaso della carta stampata, la giovane con tanta voglia di interloquire. Il professore Foti, avvezzo a questo modo di fare, sa quanto sia importante dare ai cronisti pane per i loro denti.  

  – Esatto. Direi che è una scoperta eccezionale. 

  – Può fornire a noi profani ulteriori ragguagli?

  – Le monete si ascrivono a due coniazioni fatte in loco e intitolate ad una divinità altrove sconosciuta: la dea Pàndina, presente soltanto in Hipponion e nella sua alleata Terina, polis italiota del territorio lametino.

  – A quale epoca risalirebbero?

  – Al IV secolo a.C. circa, ma gli studi numismatici dovranno proseguire. D’altronde, questo Museo archeologico non è che un inizio. In una città come Vibo, fiorente colonia greca e municipium romano, ricordata per l’opulenza da Tito Livio e Marco Tullio Cicerone, che qui soggiornò ben tre volte, ospite nella villa di Vibius Sicca, non c’è luogo ove non vengano alla luce i tesori della passata grandezza. Saranno essi, esposti in questo museo, a dare linfa a un turismo di alto livello: questo noi archeologi auspichiamo!

La prolusione del Foti si chiude col ringraziamento verso il promotore dell’iniziativa utile al rilancio culturale di Vibo: il dottor Vincenzo Nusdeo, presidente del Lions Club. Appassionato cultore delle patrie memorie, ha da tempo avviato una proficua collaborazione col parroco del duomo, Don Francesco Albanese, che non ha esitato a donare al museo la sua collezione archeologica.  

L’autrice Titti Preta