Scuola di scrittura di T.Preta: Aspettando il Dante dì a Vibo V.

Instant writing – Reportage dal vivo

UNA SERATA PER CELEBRARE DANTE 

alla SOCIETA’ EDITRICE DANTE ALIGHIERI – COMITATO DI VIBO VALENTIA

POESIA E FILOSOFIA IN DANTE 

 

Poiesis atque musica: due linguaggi universali in perfetta sintesi, senza dubbio alcuno, capaci di evocare sensazioni sublimi, sondando i reconditi recessi dell’animo, pur con l’ineffabilità e l’immaginifica potenza di immagini non razionalizzabili. 

E’ stata la musica ad avviare il pomeriggio letterario dantesco, con una performance di musica franco-provenzale e fiorentina del Medioevo, che ben si è intonata alla tematica dell’incontro, cui ho partecipato con gli allievi della mia scuola di scrittura creativa.

La cultura trecentesca ha un nome eterno: Dante. E’, la sua poesia, un “monumentum aere perennius”, un baluardo eretto per l’eternità contro l’ignoranza e l’indifferenza dei suoi contemporanei e di noi oggi.

Dante, come al sommo Epicuro che fu maestro di Lucrezio, osò squarciare i silenzi e le tenebre, con la fierezza tipica dei veri fiorentini e pagando di persona le proprie scelte. Egli aborriva la “gente nova e i sùbiti guadagni”, dileggiava i saccenti, ma sapeva trovare parole profonde per i peccatori che sapessero riconoscere, anche post mortem, la propria colpa.   

  Dante ha fatto e farà sempre notizia: è il poeta della Nazione, colui che ne propugnò l’unificazione linguistica prim’ancor che politica. 

LaPresseTorino, Reggia di Venaria 16-03-2011AttualitàMostra “La bella Italia”. Le opere in esposizioneNella foto: La Divina Commedia illumina Firenze di Michelino

  E’ recente l’ufficializzazione della Giornata Nazionale dedicata a lui, ossia il 25 marzo 2020, che darà istituzionalizzata come il già noto “Dante dì” per il Settecentenario della morte del Vate, 14settembre del 1321 a Ravenna.

La scelta del 25 marzo non è casuale: trattasi del giorno di inizio del viaggio oltremondano di Dante, secondo una scuola di pensiero.

  Quanto alla data di nascita di Durante degli Alighieri, questo il vero nome, avvenuta a Firenze, non si conosce con precisione, ma si presume a maggio, in base a una  citazione astronomica (la costellazione) fatta da lui stesso.

  Perché dunque non si è scelto il 14 settembre per il Dante dì? Perché la scuola non avrebbe modo di parteciparvi come soggetto attivo e propositivo in quel periodo!

All’incontro vibonese, introdotto dal presidente del comitato, la prof.ssa M. Liguori Baratteri, moderato dal giornalista M. Bonanno, ha preso parte la mia classe di Scuola di Scrittura – Cattedra di Italianistica, per la quale ho redatto tale testo dal vivo.

 Ricordo che alcuni miei allievi hanno dato vita ad un workshop creativo, “Dante 700”, da me ideato e sceneggiato, in occasione del Festival delle Arti e dell’Orientamento del Liceo Classico M. Morelli, Vibo Valentia. Di tale laboratorio espressivo e narrativo si presenterà presto un saggio in questo mio blog così seguito.

 

  Una prolusione musicologica ha allietato la serata dantesca, grazie a due validissimi maestri: G. Arnaboldi, al violino, e S. Fedele, alla viola.

  Una suite di arie provenzali di Arnaut Daniel, per Dante Arnaldo Daniello, incontrato nel Purgatorio, presentato a lui dal Guinizelli. Daniel era il paladino del trobar clus, idolatrato da Ezra Pound. Non amava la vita facile e scriveva in codice e solo 2 delle sue 18 citazioni sono musicali: una è la “Sestina di Arnaldo”, formata di ottonari (non endecasillabi, come in Dante), che ricorda il canto gregoriano. Anche l’altra partitura non è propriamente cadenzata e di facile presa.

Altra chicca da trovatore provenzale è stata Calendimaia, ossia primi di Maggio (come la famosa festa fiorentina), simile alla musica di menestrelli, dei quali poco o nulla ci è pervenuto nei manoscritti.

  Beatrix, un nomen omen – senhal, era la donna amata dal trovatore, cui è dedicata l’aria cadenzata destinata alla danza in una corte del Monferrato: non dimentichiamo la vicinanza topografica tra i trobadori del sud della Francia e questo territorio del Piemonte.

  Un terzo momento è stato dedicato all’idea dell’hortus conclusus del Decameron, il paradiso in terra in cui vivere l’amore e la giovinezza, strappandoli al tempo vorace.

  Il binomio Dante-musica è un topos: pensiamo a  Casella, che musico’ alcune liriche della “Vita Nova”, come “Amor che nella mente mi ragiona”.

 Di Francesco Landini, musico trecentesco fiorentino, sono state proposte la ballata ‘Ecco la primavera’, pervasa di echi pre-rinascimentali e suggestioni botticelliane, e ‘Angelica beltà’ che richiama l’ars nova del dolce stil. La chiusa è toccata a tre brani tratti dal manoscritto di Londra, poco successivo a Dante: un orecchiabile saltarello: ‘La Regina’; “Il lamento di Tristano” e “La rotta del pianto di Tristano”.

 Musica e poesia esprimono l’ineffabile e l’immaginario. Quale preludio migliore per la lectio di estetica del prof. R. Bufalo, il cui titolo è: Poesia e Filosofia in Dante?

 

  Si parte dal rapporto tra parola e immagine, tra logos e l’aisthesis: due dimensioni divaricate di cui parlava già Platone: la “palaià’ diafhorà’, la vecchia diatriba tra mythos e logos, tra sfera intuitiva e ragionamento.

  Mythos e Logos in età arcaica venivano assemblate in Peithò, personificazione divina della Persuasione, che presiedeva alla creazione poetica, sorta di rituale sciamanico-profetico dal ruolo sociale, instillata dal divino, da Eros, discepolo di Peithò, forza che cede e avvince senza violenza.

  Platone critica le immagini, derivato dell’idea, surrogato dell’aletheia, la verità. Egli presenta il suo logos attraverso i miti, narrazioni false ma con un fondo di verità. Anche nelle esiodee Opere e Giorni, nell’invocazione le Muse dicono di saper cantare menzogne e verità.

  Esiste un logos nelle immagini? Si, dice Plotino, esponente del neoplatonismo.

I tre padri cappadoci, Gregorio di Nazanzio, Basilio di Cesarea e Gregorio di Nissa, i padri del deserto, asseriscono che certe verità di senso si esprimono con le immagini, non col logos. Quest’idea arriva al pensiero immaginante di Gioacchino da Fiore, maestro di Dante, nel suo Liber figurarum: la ratio umana è finitima e non può explicare il mistero di Dio, come quello della Trinità, che Gioacchino non spiega coi logoi, ma con le aistheta’, le immagini figurali. E Dante fa suo il pensiero gioachimita: la sua poesia è fortemente immaginativa.

  In Dante Poesia e Filosofia sono due ancelle amiche. Il vero poeta deve legare immagine e pensiero.

  La poiesis nacque in Grecia per rafforzare il vincolo sociale, attraverso la figura del cantore e del vate. Omero è icona del sensus communis e il suo canto genera piacere.

  Annah Harendt, allieva di Martin Heidegger, dice che lo stato nasce grazie ai giudizi estetici, di gusto comune.

  Platone asserisce che lo stato ideale è quello in cui ognuno fa ciò che sa fare perché gli piace.

  Kant, poi, parla di sintonia comune che ci fa sentire piacere, mentre se c’è distonia avvertiamo il dispiacere: sintonia e distonia sono i due campi semantici della vita.

 E’ l’estetica un avvertimento del bello e la poesia è legame nello stare insieme, è momento comunitario. Essa ci fa intravvedere l’infinito o l’illimitato, facendoci uscire dalle secche del relativismo. E’ un “kosmos epeon”, un coagulo di parole in armonia. Kosmos per i greci non era Kaos! Era una totalità ben ordinata delle parti, in cui ognuna “prepei”, ossia splende e spicca: ciò è il bello.

 La poesia dantesca, densa di concetti, ma non concettosa, è sostanza calda che commovet, ossia ci prende e ci fa assurgere ad alta limina.

  Più è alta la poesia, più concetti ha: così dice lo Pseudo Longino del Peri’ Upseos, ossia Sul sublime, che tanto ha lasciato alla cultura europea tra 700-800. Per esempio nella teoria filosofico-estetica di Hegel e Schelling.

  Quest’ultimo, con la Filosofia dell’arte, ripresa da Schiller  (Poesia ingenua e  sentimentale) parla di due tipi di poesia:

– poesia ingenua, quella spontanea del mondo classico della polis della ‘bella unità ‘ hegeliana, ordinata come un mikros kosmos. E’ la compostezza classica. L’infinito sta nella sfera del finito. Il cristianesimo, però, rompe tale unità e sposta il senso della vita, perciò determina una rivoluzione, inserendo l’idea del destino che i Greci non  conobbero, finitizzando l’infinito in una forma finita, come  l’apeiron come Anassimandro, un magma illimitato.

– poesia sentimentale, come quella di Dante, non caratterizzata da languore romantico, ma arte allegorica e non simbolica. In questa significante e significato stanno insieme, esempio Afrodite è l’amore, le Parche sono la morte. Dante è invece poeta della poesia teologico-allegorica, ragionata e non istintuale.

  Lo si ravvisa sin dal Primo canto della Commedia, un proemio che avvia il lettore alla poesia scenografica (per immagini) che seguirà.  

Per Benedetto Croce non c’è unità lirica omogenea in Dante, emblema dell’arte intesa come intuizione geniale e non razionale. Tra tutti i filologi dantisti, Michele Barbi allude all’allegoria fondamentale del poema, che è l’uomo traviato, Virgilio è la ratio che fa da guida, Beatrice diventa emblema della Teologia. Barbi ci dà il senso figurato attraverso la lectio tomista, di cui esempio è la selva. Emerge poi il linguaggio dantesco parabolico e tropologico, sempre mutuato da Tommaso d’Aquino, altro grande modello, insieme a Gioacchino da Fiore, della Commedia.

  Così Dante è poeta figurale in cui dominano la polisemia e il plurilinguismo in un impasto in cui poesia e filosofia si fondono. Dante è il creatore di una lingua che parla ad litteram, e soprattutto in senso morale e spirituale.

  Esiste anche un Dante alter, come quello delle Rime petrose, indirizzate a una donna altera, bella ma fredda, verso cui il poeta coniuga escatologie poetiche, cogliamo una lingua aspra e ispida sostenuta da rotacismi e giochi fonici metallici, allusivi al rincrudimento del suo gentil core.  

E, a volte, basta una sola parola per farci volare con lui. Come nel Canto X dell’Inferno, quello di Farinata degli Uberti, dove Cavalcante Cavalcanti consuma il suo dramma proprio attraverso una parola, quando chiede a Dante del figlio Guido. La parola, è ‘ebbe’: l’uso del passato remoto carica la poesia di sensi che vanno al di là della logica e della grammatica e assurge a qualcosa di universale che crea pietas e commozione. Dante divien qui un novello Pindaro: un poeta alato. Un’aquila invitta che raggiunge vertici inarrivabili.

Reportage estetico-letterario a cura della prof.ssa Titti Preta della lectio del prof. R. Bufalo   

 

 

 

 

 

 

 

2 Risposte a “Scuola di scrittura di T.Preta: Aspettando il Dante dì a Vibo V.”

  1. Gentile professoressa, vedo solo adesso il suo approfondito articolo del 2016 su Giuseppe Berto. Le scrivo qui perché non trovo altri indirizzi sul web. Vorrei chiederle: il seguito di quell’articolo è stato poi pubblicato? Sono molto interessato a leggerlo. (qualche notizia su di me si trova qui: https://www.lanapoppi.it/).
    Grazie di cuore, Aleramo Paolo Lanapoppi

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