Scuola di scrittura – Prof.ssa Preta: Reportage dal Festival Leggere & Scrivere 2022. Un romanzo sul Bellini

Nella giornata conclusiva della Decima edizione del “Festival Leggere & Scrivere”, svoltosi sabato 5 novembre a Palazzo Gagliardi, alle ore 16.00 nello Spazio Ammirà, Luigi La Rosa, intervistato da Anna Mallamo, presenta il suo libro “Nel furor delle tempeste, breve vita di Vincenzo Bellini”.

L’incontro si apre con una esecuzione di una prima aria d’opera, composta dall’artista nel 1820, da parte del soprano Giulia Pollice, accompagnata da Aurelio Pollice al pianoforte.

Le parole di questo componimento sono state scritte da una delle donne più importanti della sua vita, Maddalena Fumaroli, uno dei suoi primi amori e uno degli più importanti. Questa informazione, come molte altre sulla vita di Bellini, sono state riportate da Francesco Florimo, caro amico calabrese e corrispondente di lettere. Nella storia di Bellini infatti, c’è anche una piccolissima parte di Calabria ed è appunto Francesco Florimo, originario di San Giorgio Morgeto, in provincia di Reggio Calabria. L’incontro tra questi avviene quando Bellini dalla Sicilia si trasferisce a Napoli per studiare musica.

Luigi La Rosa è autore di altri due celebri libri: il precedente, che tratta la biografia di Gustave Caillebotte, un genio dimenticato dell’Impressionismo, e l’ultimo uscito pochi giorni fa dedicato a Proust.  Questi tre grandi sono animati dalla stessa cosa, ovvero l’inesauribile ricerca della bellezza, un enorme bisogno d’amore e una grandissima incapacità di costruire l’amore vero. Tutti e tre trasfondano ogni loro successo o insuccesso nelle creazioni di opere d’arte. Proust ha scritto “La Recherche”, Bellini ha scritto dieci opere e tante altre arie e canzoni. Questi hanno inoltre in comune di aver finito troppo presto la loro vita, Bellini è morto a soli 34 anni e Proust a 51.

Attraverso il libro di Luigi La Rosa si avvicina al furore compositivo e intimo di Vincenzo Bellini, lo stesso furore che attraversa l’800.

Bellini è un girovago, migrante dell’intelletto e dell’arte, che abbandona la sua Sicilia e la famiglia, perché si sentiva chiamato ad altro. Si sposta sempre più a Nord, prima a Napoli, poi a Milano, dove miete enormi successi, e a Parma dove raccoglie degli insuccessi motivati dal suo linguaggio ardito che non venne compreso subito. Era anche molto osteggiato per la fama, perché era il compositore più pagato dell’epoca e per la bellezza, tanto che era chiamato “il Cigno”.

L’idea di scrivere di Bellini ha una strana genesi. In realtà lo scrittore non sceglie, ma viene inseguito dal personaggio, infatti in un momento di crisi in cui La Rosa non sapeva cosa scrivere, viene scelto dal personaggio mentre si ritrovava a passeggiare in un giorno d’inverno per via Etnea a Catania. A un certo punto, mentre pensava a cosa raccontare, si sollevò un vento furioso e si ritrovò con un pezzo di carta addosso: il ritaglio di una cartolina in cui c’era il ritratto di Vincenzo Bellini. Così si rese conto di dover scrivere una biografia su di lui. Trascorsero 15 anni, fino alla chiamata da parte dell’editore per la pubblicazione di un nuovo libro. La Rosa risponde che vorrebbe scrivere di Bellini e l’editore risponde che stavano aspettando una simile pubblicazione da circa 20 anni. Perciò si chiude per sei mesi a Parigi e scrive di getto il libro.

Nel romanzo è presente un lieve filo di finzione e mistero che lega il suo rapporto travagliato con una delle sue fonti principali: le donne.

La donna più importante della vita di Bellini è la madre Agata, che tra tanti figli predilige Vincenzo. Rimpiange la famiglia che abbandona e la capacità di farsene una. Le donne che l’hanno amato hanno fatto una fine tragica o comunque sono state colpite da un grande dolore. Quelle che l’hanno sostenuto, come Cristina di Belgiojoso, o quelle che l’hanno ammirato senza essere entrate a contatto diretto, come la famosissima cantante Maria Malibran: esse si sono salvate, le altre no.

Una caratteristica è la modernità del mito belliniano: rispetto ai compositori della sua epoca, si propone come il genio e la sregolatezza, atteggiamento tipico delle popstar del ‘900.

Un aneddoto (non presente nel libro) è il seguente: una giovane inglese ha rischiato di ferire Bellini durante un concerto, invasata com’era! Gli graffia il collo e perde del sangue; strappa una ciocca di capelli e scrive nel suo diario che non sarebbe tornata a Londra senza la ciocca del divino Vincenzo!

Le donne che si innamoravano di Bellini sono paragonate a Icaro le cui ali di cera si sciolgono all’avvicinarsi del Sole. L’unica donna che si salva è Maria Malibran, artista come lui e alquanto distante, perché il suo grande amore era la musica.

Bellini non era portato alla vita reale, canta un amore immortale e, se fosse divenuto un amore quotidiano, avrebbe perso l’alone di mito.

La vita di Bellini fornisce anche la condizione delle donne nell’Ottocento. Un esempio è la relazione con Giuditta Turina: dopo la separazione, verrà criticato nei salotti, mentre lei arriva alla rovina perché il marito la ripudia e il padre vivrà nel disonore eterno di una figlia scandalosa.

Nonostante Bellini non si curi delle donne che usa sentimentalmente, Luigi La Rosa si sofferma sulle donne, per questo è anche un libro femminista.

Bellini ha anche le sue fragilità: quando il padre di Maddalena Fumaroli (di cui negherà la figlia e si lascerà morire di fame per lui) dirà di non concedere a un maestrino sua figlia, e dopo il successo cambia idea concedendogli la mano, lui avrebbe potuto anche accettare per la felicità di entrambi, ma con una semplice letterina risponde: “Mi dispiace, ho sposato la musica”.

Altra aria eseguita è “La vaga luna”, un tema tipico del Romanticismo.

La musica è per Bellini quell’elemento che gli consente di vivere, è come se la vita fosse solo una brutta copia che serve per realizzare poi la vera versione: l’opera d’arte.

La lontananza dalla madre, la nostalgia, la precarietà della sua esistenza e il senso di vuoto (si pensi che non avrà mai una casa propria e sarà sempre ospite) lo accompagneranno nella breve vita e la musica sarà il suo unico punto fermo.

Un giorno l’amico Florimo non trovava più Bellini, e sentendo il suono del cembalo nell’aula dell’ultimo piano del conservatorio, lo raggiunge e lo vede col volto pieno di lacrime mentre suona un brano di Pergolesi. A questo punto fa un giuramento: “Se il cielo mi darà la fortuna di scrivere così grande che possa durare oltre me, io accetto di morire giovane come Pergolesi”.

Non è da pensare che la carriera di Bellini sia sempre stata fortunata e lineare: l’esordio del romanzo è un insuccesso sul palcoscenico della Scala di Milano: qui si rivela l’umanità dell’artista, nel momento in cui compone la sua opera più bella, La Norma. Al posto di ricevere applausi e complimenti, riceve fischi: nell’Ottocento a teatro ciò significava la fine della carriera.

Bellini reagisce in modo plateale: lascia il teatro, per far intendere che gli astanti non erano degni della sua musica, però si rifugia a casa a piangere, per tre notti ha una febbre altissima e scrive allo zio: “fiasco, fiasco, tremendissimo”.

Parigi è uno punto focale per lo scrittore, in qualche modo i suoi libri rimandano a questa città: Proust, Caillebotte e quindi Bellini, che però vive con angoscia la città di Parigi perché ha pochissimi contatti e sente che lì si giocherà l’ultima grande sfida con l’ultima opera: I Puritani.

L’incontro termina con l’aria: “L’abbandono”.

LE ALUNNE ALICE EVOLO (capogruppo), EMANUELA PONTORIERO, CARMEN MARRELLA, ANNA PIA MOSCATO, ILENIA IERULLO E DEA BILOTTA – CLASSE III D