Cari lettori, la mia giornata dantesca è dedicata oggi al tema del “colorismo poetico” di Dante che, attraverso la sua parola, seppe evocare splendide immagini visive e ricche di plasticità. Su questa linea, collocherò a breve l’apporto di Botticelli nel 400-inizi 500 per la riscoperta di Dante, divenuto già allora un classico da riscoprire (visto che la simpatia degli umanisti andò a Petrarca). Nell’attesa, vi invito a leggere la trattazione della mia allieva Simona Pizzonia della classe 5 C dl Liceo Classico di Vibo
alla prossima!
Prof.ssa Titti Preta
Come un pittore che, ponendo grande attenzione nel mescolamento, nella tonalità e nella saturazione, stende il colore sulla bianca tela con pennellate ora decise e ora sfumate e leggiadre, il poeta gioca diligentemente con la parola, destrutturandola e ricomponendola fino a sfiorare l’irreale, con sfumature di significato sempre più astratte per cercare di descrivere qualcosa di ineffabile.
Il colorismo e le sfumature del registro linguistico delineano la Divina Commedia, serpeggiando nelle tre cantiche. Il Paradiso è il culmine di un percorso spirituale che viene descritto con un linguaggio aulico e avvolto da un’aureola sacrale, angelica e misteriosa. Si evince la difficoltà di Dante nel descrivere quel paesaggio evanescente e divino dell’Empireo perché illuminato dalla luce irradiante di Dio. Ciò suggella la valenza arcana del Paradiso e del ‘mistero della fede’ che Dante non vuole dissacrare asserendola nella sua opera, in quanto molti aspetti dell’oltretomba possono essere conosciuti solo dallo spirito dopo esserci svincolato dalla materia. Abbiamo l’immagine di un Dante in difficoltà, tanto da richiedere l’intervento di Apollo, affinché si invaghisse della virtù poetica divina per poter descrivere l’indescrivibile, per elevarsi ad un registro linguistico alto e per conformarsi alla materia trattata. Dunque è da elogiare l’incredibile sensibilità del poeta che traspare nella cifra stilistica, rivelando una parabola ascensionale dello spirito di Dante: dall’oscurità dell’Inferno, con un uso linguistico più basso e umile per aderire alla tristezza e alla malinconia del male, alla luminosità del Paradiso, nonché metafora di Dio, in cui lo stile spicca in una squisita raffinatezza incomprensibile. Questa subalternità metaforica e stilistica confluiscono a determinare
un’opera differenziata tra i suoi strati, che tende ad una realtà sempre più sopita e indecifrabile, dalla quale traspare l’unica certezza dell’uomo, ovvero l’impossibilità di conoscerla, rappresentata da Dante con la luce accecante e velante del Paradiso.