Summer school writing della prof.ssa T.Preta: Reading da: “Il sigillo della dea Pàndina”

30 agosto, nella splendida cornice del Parco Urbano di Vibo Valentia è stato presentato il nuovo romanzo della   scrittrice   Titti   Preta:   “Il   sigillo   della   dea   Pàndina”,   un   giallo   archeologico   ambientato   nella   Vibo “Giardino sul mare” nel 1969. L’evento culturale, patrocinato dall’Amministrazione   comunale, rappresentata dall’Assessore alla Cultura Daniela Rotino, moderato dal giornalista Maurizio Bonanno, è stato introdotto dall’archeologa Mariangela Preta, che ha esposto l’avvincente trama: “5 luglio 1969: mentre Vibo Valentia è mobilitata per l’inaugurazione del Museo archeologico statale “Vito Capialbi”, un barbaro omicidio si sta per consumare. Un giovane di origine ebrea, Davide, è venuto a conoscenza di un segreto sepolto nel passato e sta per svelarlo, ma ciò gli costerà la vita. Chi e perché l’ha ucciso? E cosa ha a che fare con la sua morte la serie   monetale   intitolata   alla   dea   Pàndina?   È   quanto   cercherà   di   scoprire   il   commissario   Santapaola, imbattendosi nel classico clima di omertà e tenendo testa all’ostinato giudice Trimarchi. Ad aiutarlo, il suo ex professore di Lettere Antiche, noto studioso di esoterismo, la vivace giornalista Lorella e il caro amico di Davide, Massimo. Figure reali e immaginarie si incrociano in  un’indagine che terrà il lettore  col fiato sospeso, facendogli riscoprire gli anni di Vibo “giardino sul mare”, tra luci e ombre. Nella vicenda, che si snoda nell’arco di una settimana, si inserisce pure la misteriosa e bellissima Elena, interessata al “sigillo di Pàndina”.  Tutto ciò, qualche mese prima che la famosa laminetta aurea di contenuto orfico venga alla luce, proponendo nuovi enigmi da decifrare.”

 


L’Autrice ha sottolineato che, dopo aver portato a compimento il progetto letterario di riscoperta del mito della ninfa Scrimbia, si è riaccostata a quel fortunato  modulo narrativo, recuperando la dea Pàndina, presente su alcune monete greche del IV secolo a.C. di Hipponion e in un detto popolare: “Mala pàndina mu ti pigghjia”: “Che tu possa incappare in una disgrazia”, tipico del popolino e riecheggiato nella sua lirica “L’abisso di Pàndina”, che funge da apertura al romanzo. La vicenda fonde realtà e fantasia, e presenta personaggi di primo piano di Vibo Valentia: il dottor Vincenzo Nusdeo, Monsignor Francesco Albanese, il Sovrintendente   Giuseppe   Foti,   l’archeologo   Ermanno   Arslan   e   il   marchese   Enrico   Gagliardi   (seppur indirettamente), il prof. Carlo Diano e l’avv. Felice Carlo Crispo, tutti in veste romanzata seguendo il criterio della verosimiglianza.  

L’assessore alla Cultura ha preannunciato che l’opera sarà candidata al Premio “Le parole e la città”, perché rappresenta n modo simbolico uno spaccato di vita di Vibo, candidata a “Città che legge” per il 2019.

Presenti due allieve del Liceo Classico Morelli: Alessia Impellizzieri e Jessica  Sicari che, insieme all’Autrice, hanno animato il reading che viene qui presentato, si tratta di un passaggio clou del romanzo:

 

Lettura espressiva da “Il sigillo della dea Pàndina”: 

Cap. 4 – 7 luglio 1969 – alba

  Le fiamme non provano pietà di fronte a niente e a nessuno, non le arresta neanche il treno delle cellule lanciato all’impazzata nella corsa del vivere.

  L’architettura biologica del corpo del disgraziato è diventata una macchina di tortura, anche se il cuore pompa ancora sangue e nei polmoni passa l’aria… ma quanto durerà? Quanto ci vuole per morire bruciato?

  Il giovane è una torcia, si dimena per quanto può, in una catena d’istanti che sfiorano l’infinito tempo della morte. Un dolore indicibile, pesante come un macigno. Poi, gli occhi si chiudono per sempre e una mano femminile getta acqua sul manichino semi-combusto e, spente le fiamme, vi poggia una spiga di grano e un papavero, recitando le sacre formule che accattiveranno la benevolenza del nume. 

  Due figure, incappucciate di nero, depongono una bacca rosso sangue e una minuscola croce di legno nell’ultimo dei tre circoli di pietre sul terreno e salgono su una berlina.   

  Missione compiuta. È andato tutto secondo i piani. Una serie di fotogrammi si accavallano nella mente di Elena. 

  L’incontro con il ricattatore. Un ragazzo impavido che ha sfidato chi non immaginava.

  Villa Comunale. Orario convenuto. La statua di Diana, nella sua marmorea lontananza, involontaria testimone dell’incontro.  

  – Dove hai trovato l’indirizzo di Federico? – gli chiese.

  – Nella sua ricerca ho trovato questa cartolina indirizzata a lui da una certa Elena. 

  – Come l’hai avuta questa ricerca?

  – Fai troppe domande. Piuttosto, tu chi sei? Io aspettavo il Lanza.

  – È lui che mi manda. In attesa di incontrarlo.

  – Sei sua figlia? – Elena attaccò a ridere e il giovane capì. – Non mi piace essere preso in giro. Voglio le mie garanzie.

  – Arriverà, tranquillo. E con lui, la valigetta carica di soldi. Ecco, ti faccio vedere la lettera che gli hai inviato. Ti basta?

  – Le cose si stanno mettendo male. 

  – Rilassati. Non ti va che sia venuta io? Sono sola, nessun inganno. 

  – Sei molto bella. Che rapporto hai col Lanza? Sei la sua amante, vero?

  – Perché non pensiamo come ingannare il tempo in attesa di Federico? – con uno sguardo ammiccante, prese il giovane per mano.

  Raggiunta la berlina nera, trovò il modo di ammaliarlo. Mentre lui la baciò ardentemente sul collo, un colpo sordo sulla nuca gli fece perdere i sensi.

  Elena rise ancora di lui, della sua ingenua audacia. Due adepti lo trascinarono nel cofano, legandolo come un capretto. Uno gli fece ingurgitare un succo, amaro come il fiele, e gli bendò gli occhi. 

  Il giovane sentì una fitta, non ebbe nemmeno la forza di emettere un grido. Capì che stavano allontanandosi dalla città, ma non realizzò dove andassero. Non sentì suoni, rumori, voci. Tutto si attutì e non fu più padrone di sé. Calò un velo nero e perse la coscienza. 

  Si ritrovarono in una landa brulla illuminata dalla luna piena. Il luogo adatto: una stoppia con una chiesetta sconsacrata. Elena recitò le sacre formule, gli adepti sistemarono un trittico circolare di pietre. Depositato lo sciagurato, mugolante per terra, lo arsero ancor vivo.

  La vendetta si compì quando Selene scomparve dal cielo e Lucifero, la stella più luminosa, cadde all’arrivo del carro di Elios, annunciato dalla rosea Aurora. La terra si mosse e si alzò un vento caldo: la Dea sorrise, sazia della vittima immolata nel suo sacro rituale e rientrò nel suo abisso.

  La sciagura è stata stornata. Il sigillo di Pàndina è salvo. Ora lo sguardo di Elena s’illumina mollemente e s’insinua in cuore il delirio. 

  Nella mente, l’eco ossessiva di un nome: “Federico”. Una calamita. È da lui che deve tornare. Per l’ultima volta.

 

L’Autrice Prof.ssa Titti Preta