Summer school writing della prof.ssa T.Preta: Terzo posto al Premio Scrittura Giovani 2019

Cari lettori,

quest’anno il Premio Scrittura Giovani era incentrato sulla figura di Don Mottola ed un mio allievo ha prontamente recepito la tematica, offrendo un testo espositivo molto significativo, che si è aggiudicato il Terzo Posto, che mi va di pubblicare.

Complimenti a Gianluca Porcelli!

 

Il valore dell’operato umano, sociale e cristiano del Venerabile don Mottola nella società del suo tempo e in quella d’oggi.

 

Don Francesco Mottola nasce a Tropea, in Calabria, il 3 gennaio 1901 da una nobile famiglia, che gli ha saputo trasmettere sin da bambino i valori della religione cattolica. La fede cristiana viene immediatamente accolta da lui come una “perla preziosa”, così decise di vendere tutto e aiutare il prossimo: solo in questo modo quella perla poteva risplendere nel suo animo e tra la gente. Egli sosteneva che il sacerdote è un “alter Christus ” e che deve vivere giorno per giorno, la sua “cristificazione”, rimanere trasfigurato con Cristo, discendere a valle per la carità e vivere attivamente per gli altri.

Don Mottola era un sacerdote molto disponibile, convinto che la vita cristiana dovesse essere sintesi di contemplazione e azione, che trova senso nella Carità di Cristo.

La Messa era al centro della sua giornata, scrive infatti nel suo diario: “La santa  Messa sarà al centro della mia attività sacerdotale. In preparazione ad essa mi serviranno tutte le azioni dal momento del pranzo in poi…”

Dal 1929 al 1942 fu chiamato a dirigere il Seminario vescovile di Tropea. Nel maggio del 1931 fu nominato Penitenziere della Chiesa Cattedrale di Tropea. All’età di quarantuno anni fu colpito da emiparesi, e per ventisette anni ha vissuto nella sofferenza quotidiana. Nonostante ciò, non interruppe la sua attività spirituale e sociale, anzi continuò a dire di sé “io sono un povero viandante che va”. Predicò spesso gli esercizi spirituali ai sacerdoti e partecipò come relatore a tanti convegni di Azione Cattolica.

Il silenzio, l’umiltà e la preghiera erano i pilastri della sua spiritualità, sempre a fianco dei più deboli e dei più sofferenti. Intraprese contemporaneamente innumerevoli iniziative culturali, fondò “case della carità” per l’accoglienza e l’assistenza di disabili e “la famiglia degli Oblati e delle Oblate del Sacro cuore”. Nutriva una particolare devozione per Maria Santissima, la prima Oblata. A lei egli stesso chiedeva aiuto per la sua vita spirituale e protezione materna per le sue

fondazioni e insegnava alle prime Oblate a chiedere a Maria “corpi sani e anime sante”, poiché la santità è cammino verso Dio nella concretezza storica.

Don Mottola morì nella casa paterna il 29 giugno 1969 pronunciando serenamente, per l’ultima volta qui in terra, il suo “eccomi tutto”.

La Chiesa ne riconobbe le virtù eroiche e lo proclamò “Venerabile”

nel 2007. Il suo corpo riposa nella chiesa con cattedrale di Tropea, ai piedi del quattrocentesco crocifisso nero, custodito dallo

sguardo materno della Madonna della Romania.

Don Mottola considerava la casa della carità grande quasi quanto la nostra terra, non per eliminare il dolore della sofferenza, bensì per accoglierlo, e la chiamava “la casa d’oro” perché aveva l’oro splendido della carità che avrebbe voluto comunicare a tutti. Riteneva che fosse non solo la sede della sofferenza ma, allo stesso tempo, dell’amore e che quest’ultimo fosse così grande quanto il dolore, da sopportare con spirito di fede, che ci fa da ponte di congiunzione con Dio padre, che

non si stanca mai di amarci tutti, affidando a lui la nostra cura e la bellezza del creato.

Il carisma sociale di don Mottola è un dono che nasce dalla contemplazione (fu detto “l’uomo della contemplazione”) che si trasumana in mistica presenza di Cristo in tutti gli uomini, in particolare nei sofferenti. Ecco perché egli afferma, con forza e lucidità, senza paura di essere considerato un don Chisciotte, che la questione

sociale è soprattutto una questione mistica.

Quanto è valido il messaggio di Don Mottola oggi? Ci troviamo, purtroppo, in una società in cui conta il benessere materiale, che porta ad allontanarsi spesso da Dio.

L’uomo si sente smarrito davanti al male e alla violenza che lo circonda, così come davanti al dolore. È vero che ci sentiamo scoraggiati, impotenti di fronte al male e al dolore, al punto che ci sembra che il buio non finisca mai. Ma non si deve mai perdere la speranza,

perché Dio cammina con noi e non ci lascia soli, proteso nel suo disegno provvidenziale. Posso affermare, anche sostenuto dalla lettura dei grandi autori cristiani, (come non alludere a “I Promessi Sposi” di Manzoni, il classico per antonomasia?) che l’insegnamento del “servo di Dio” don Mottola deve essere promosso nei nostri tempi, che sono privi, anche nella stessa azione della Chiesa, di valori forti, capaci

di rifondare una nuova evangelizzazione nel difficile campo della questione sociale.

In una delle sue poesie, il cui incipit è: “Io sono una povera lampada ch’arde/soave”, Don Mottola rivive l’esperienza mistica del suo cammino alla ricerca di Dio. Una meravigliosa avventura, in cui l’anima come la lampada sull’altare, consumando a goccia a goccia l’olio, offre le sue faville per illuminare la via all’uomo, alla ricerca di un senso per la sua esistenza. Nella sua opera poetica, in cui tutto viene trasfigurato e sublimato da un cuore che vibra di un tenero e appassionato amore al suo Signore e ai suoi fratelli, il lettore si abbandona nella contemplazione della natura, col suo mare, i suoi animali in particolare gli uccelli, così come accade nella

Laus Creaturarum di San Francesco d’Assisi.

“Nacque al mondo un sole”: così dice Dante nella

Comoedia del “poverello di Assisi” (XI canto del Paradiso).

“Nacque per la Calabria un nuovo Gioacchino ”, potremmo parafrasare, pensando al nostro “certosino della strada”, servo della carità e testimone delle sofferenze di Cristo.

Senza dubbio Don Mottola è stato, è e sarà un modello per il riscatto umano, sociale e spirituale della Calabria, terra di contraddizioni forti, in cui convivono il bene e il male, che lui tanto amò e mai abbandonò.

Gianluca Porcelli – classe 2 B Liceo Classico “M.Morelli” – Vibo Valentia