Summer school writing della prof.ssa T.Preta: Visita alle mura greche di Hipponion e leggenda

Salve, lettori del mio blog!

La scorsa settimana la mia Summer School è stata presente all’Archeotour promosso dall’Amministrazione Comunale della mia città, Vibo Valentia, un tempo Hipponion, florida polis della Magna Grecia, che poteva vantare una cortina muraria ciclopica, di cui avanza ancora una consistente parte dell’alzato, considerato che si tratta di una fortificazione risalente al VI-V secolo a.C. Essa era conosciuta dagli storici locali del passato. I fratelli Pignatari furono i primi a descrivere il percorso delle mura in un manoscritto del 1753, ma solo nel 1832 venne pubblicata dal conte  Vito Capialbi la pianta archeologica del tracciato.

Fu l’archeologo tridentino Paolo Orsi, che scavò a Monteleone, questo il nome allora della città,  tra il 1916 e il 1921, a metterne in luce ampi tratti, nella località detta del Trappeto Vecchio. Le indagini fecero riemergere un lungo tratto di mura intervallato da possenti torri in arenaria tenerissima, simile alla pietra mollis di Locri, di cui Hipponion fu sub-colonia.

Il tracciato della struttura fu condizionato dal naturale andamento del terreno, seguendo il limite del pianoro su cui era stata fondata la polis. Con il passare del tempo, subì variazioni strategiche e ricostruzioni in più punti, a seconda delle esigenze difensive e insediative.

Le mura di Hipponion possedevano, oltre al notevole alzato, un buon numero di torri: esse erano dunque un’opera difensiva ma anche un “monumentum“, ossia l’evidente simbolo della grandigia di una città, che si presentava all’esterno nella sua opulenza, impiegando risorse umane ed economiche ingenti in un arco vastissimo di tempo per realizzare quello che riteniamo il suo “biglietto di visita”, ossia le Mura, visibili in tutto il vasto sinus hipponiate (oggi Golfo di Lamezia). Dunque un unicum per imponenza costruttiva nel campo dell’architettura militare della grecità d’Occidente, esse documentano l’importanza bellica ed economica che la polis di Hiponnion ebbe tra il VI e il III secolo a.C.

Interessanti appaiono ai nostri occhi anche i numerosissimi graffiti, lasciati dagli occasionali visitatori della mura nell’arco del ‘900: essi, pur deprecabili come atto di vandalismo, testimoniano la frequentazione popolare del sito e l’attaccamento affettivo del popolo vibonese a quest’emblema della sua storia millenaria. 

Con gli allievi della mia Scuola di Scrittura Estiva del Liceo Classico M.Morelli, abbiamo voluto fissare per iscritto un suggestivo  racconto orale popolare per evitare che si dimentichi. E’ un aneddoto intriso di fascino inquietante e di mistero, com’è tipico della fantasia del volgo, che tiene viva la memoria del luogo: appunto le Mura Greche.

Prof.ssa Titti Preta – Lettere Classiche Liceo Morelli, Vibo V.

Il fantasma della Nemesi presso le Mura greche di Hipponion 

Nei pressi delle mura greche di Hipponion, nell’area del Trappeto Vecchio, zona di necropoli, sono stati riferiti in tempi diversi avvistamenti di fantasmi. C’è chi asserisce di aver visto un corpo luminoso, con in testa un copricapo con pennacchio, che incedeva producendo un cigolio metallico e uno strano suono insieme al crepitio di fiammelle che causano un nauseante odore di combusto, come se fossero arsi carni e capelli: quasi un rito funebre con vasetti e lucerne accese nella scarpata antistante le mura. Qui nel lontano 1923 un contadino aveva scalzato una lastra di terracotta dal suolo con l’aratro e, non appena si chinò, avvertì strani odori di bruciato e sentì un tonfo. Rialzatosi, vide il bue che prima trainava l’aratro giacente sul terreno, morto stecchito. L’uomo allora comprese di aver infastidito uno spirito il cui corpo giaceva proprio sotto i suoi piedi, perciò rimise a posto la copertura fittile del suo sepolcro, gettò di sopra dei fiori e pose un bastone come segnacolo per non tornare più ad arare quel fazzoletto di terra. Fatto ciò, diede fuoco alla carcassa del bue pensando che le carni fossero avvelenate. Giunta l’estate, le messi furono copiose come mai si era visto prima. La sua eccezionalità “sovrannaturale” era palese se confrontata al terreno del vicino. Lo spirito del defunto aveva ringraziato il contadino per la sua superstitio. In Vibo, poiché la città dei vivi è situata sopra quella dei morti, sono spesso avvenute strane morti di chi aveva incautamente danneggiato delle tombe antiche e o le avesse volutamente obliterate col cemento. È il caso di un ingegnere che, mentre guidava, uscì fuori strada inspiegabilmente su un rettilineo e morì schiantandosi contro un cipresso. Il tetto dell’auto era sporco di sabbia e frammenti di pietra calcarea, riconosciuti come simili per materia ai blocchi delle mura di Hipponion. Come possa essere finita sul tetto della macchina quella roccia frantumata è inspiegabile, infatti attorno non esisteva assolutamente quel materiale. Il fantasma portava un elmo sulla testa con un pennacchio ed è da riconoscere in un soldato greco di Hipponion, tornato forse per difendere le mura più volte preda di atti vandalici fin dalla loro scoperta, ad opera di Paolo Orsi nel 1916.

Il suo urlo è “Adrasteia“: cioè “che non si può evitare”, ossia l’inevitabile. Era anche l’appellativo di Nemesi, originariamente Dea del frassino, giustiziera di qualsiasi hybris, eccesso, superbia o violenza.

In Calabria sono ancora in molti a credere, quando si è subito un torto, che prima o poi ci sarà una sorta di ‘giustizia’ che rimetterà a posto le cose, ovvero che ‘compenserà’ il sopruso. Sebbene questo sentimento di giustizialismo provvidenziale appartenga a tutte le culture, i Greci pregavano Nemesi, “distributrice di giustizia”, il cui compito era ‘riparare’ alle azioni ingiuste commesse dagli uomini, tanto che il suo nome divenne subito sinonimo di “vendetta”. Una vendetta che presto o tardi arriva: non a caso era detta Adrasteia, cioè “Colei che non è possibile sfuggire”. Il concetto di nemesi rispondeva ad un’idea di ‘armonia’ dell’universo e di ‘equilibrio’, secondo cui il troppo male doveva essere compensato da un bene e viceversa, ecco perché dopo un periodo particolarmente fortunato nella vita doveva necessariamente arrivarne uno altrettanto sfortunato, pertanto Nemesi era colei che distribuiva gioia o dolore a seconda di quanto fosse ‘giusto’.

Prof.ssa Titti Preta e Allievi della sua Summer School Writing partecipanti all’Archeotour: Bellamacina Antonio, De Marco Giovanni, De Marco Arianna, Bertuccio Martina, Porcelli Gianluca, Schiavello Antonella, Greta Mazzeo.

Grazie anche al Prof. Luigi Cariddi per la sua presenza e soprattutto all’Archeologa Mariangela Preta che ci ha fatto rivivere la storia del sito.