Introduzione dell’Autrice . Titti Preta
Cultura popolare e oralità
L’ importanza delle letture ad alta voce di favole, miti e leggende
Ho sempre sostenuto che la cultura popolare è una risorsa da non disperdere, perché le appartengono la bellezza e la vastità, lo zelo e la tenacia di quei pochi che si preoccuparono di registrarla in forma scritta e, dunque, di salvarla. E’ un patrimonio elaborato nei secoli che costituisce la memoria collettiva e l’identità del nostro popolo. Ascoltare leggende e novelle ci fa tornare alle cose umili, cioè a misura umana, dalle quali non si può prescindere per ricostruire la cultura calabrese.
Le tradizioni orali, che un tempo si tramandavano di generazione in generazione, rischiano ormai il totale naufragio, a meno che non si esegue un preliminare lavoro di “scavo” nella memoria popolare e quindi di rielaborazione.
Voglio ricordare in primis l’opera indefessa di Luigi Bruzzano, direttore della rivista di cultura popolare “la Calabria”, edita a Monteleone di Calabria (attuale Vibo Valentia) tra il 1888 e il 1902, pubblicata a sue spese, tra le derisioni degli ambienti “colti”. Col tempo, molti illustri corregionali diedero a Bruzzano quella mano che egli auspicava, inviandogli materiale degno di pubblicazione.
La temperie culturale in Calabria sul finire dell’Ottocento ci porta a riflettere sull’affermarsi nella nostra regione di una “sensibilità demologica” che aprì nuove prospettive di indagine da parte della cultura egemone. La rivista “La Calabria” venne assunta ad angolo di osservazione della realtà popolare passata, per superare la dialettica tra ceti nobiliari e popolari, innegabile riflesso di vicende storiche.
Che una rivista demologica sia stata assunta come punto di partenza per una rilettura della cultura popolare rappresentò per quei tempi qualcosa di ambizioso e innovativo, per certi versi unico, voluto da uno spirito progressista che contribuì a custodire la memoria storica di classi che erano state ridotte al silenzio dalla dinamica del dominio.
È nell’ambito di questa rivista che si attuano le prime esperienze demologiche di Raffaele Lombardi Satriani, che produrrà la “Biblioteca delle tradizioni popolari calabresi”, memoria folklorica della nostra regione. A lui si associa l’opera di Raffaele Corso, con la rivista “Folklore Calabrese”.
Custodi di memoria, dunque: solo nella sua continua riconquista la nostra vicenda esistenziale e culturale può dispiegarsi, come libertà e progetto. E’ un viaggio nella gnoseologia popolare, da compiersi senza alcuna retorica del tempo passato, senza nostalgie preconcette dell’antico che non c’è più e in cui tutto era più povero, ma bello. Un viaggio in una Calabria antica tra gente sofferente di fatica e gioiosa del vivere quotidiano, tra lutti e feste, tra amore romantico e carnalità passionale, tra lavoro e gioco.
La cultura popolare è la base della nostra civiltà. Essa parte da lontano, dalla Magna Grecia e dalla koinè ellenistico-romana, per poi passare ai Bizantini e a tutti i popoli che ci invasero. Di ogni passaggio umano serba le tracce, a volte anche in un semplice nomignolo, un epiteto, un toponimo, un detto, una novellina. Questa civiltà è uno scrigno favoloso che custodisce tesori inimmaginabili che ci parlano di una terra incompiuta e precaria, in perenne fuga da sé stessa e alla ricerca di punti stabili.
In fondo il ricercatore chi è? Non solo uno “spulciatore di notizie” su tomi, ma anche uno che cammina sui luoghi della storia. Erodoto di Alicarnasso, il pater historiae, fu grande viaggiatore. Nell’antichità ellenica i primi storici sono i Logografi, che scrivono dei luoghi prima che delle persone. Ecateo di Mileto, Ellanico di Mileto o Timeo di Tauromenio sono tutti infaticabili camminatori.
Il cammino è conoscenza e ha pure funzione terapeutica e salvifica. Grandi camminatori furono l’indimenticato professor Gerard Rohlfs e l’eminente archeologo Paolo Orsi. Solvitur ambulando, dissero i Latini e, prima di loro, i Peripatetici ellenici, che passeggiando lungo il “Peripatos” dell’Accademia aristotelica o del Liceo platonico discettavano di filosofia, come gli Stoici sotto il “Portico dipinto” (Stoà Poikilé) in Atene. Che dire poi dei pellegrini medievali e dei clerici vagantes? Allora non era immaginabile, come oggi, un lavoro a tavolino e suffragato solo da fonti scritte o archivistiche.
I luoghi – che richiamo nelle diverse composizioni – vivono di una loro fisicità, di una corposa consistenza, pretendono il movimento e il percorso fisico perché ci sia una reale riconquista. In loro ritroviamo la nostra identità, essi originano la storia.
E nei luoghi c’è l’uomo che parla e crea. E’ la sua fantasia il motore che sta alla base della creazione di una leggenda, fiaba, racconto… nutrita dall’osservazione diretta della realtà e dal voler lasciare traccia di un episodio o di un particolare che ha destato l’interesse e la “sympatheia”, cioè la condivisione di stati d’animo, di episodi, di fatti significativi, di modi di essere, di vicende belle o brutte… ma sempre vissute all’interno di un gruppo sociale e di un territorio.
Si tratta di trovare il ricco forziere dell’Oralità: esso contiene la vox populi. Il ruolo che il popolo – calabrese e non – ha avuto per la permanenza e la sopravvivenza di riti, usanze, modi di dire e addirittura idiomi è indubbio. Nella sua fantasia, che si fa parola, è racchiuso un mondo intero, con le sue credenze, le sue paure e il modo per esorcizzarle, i suoi usi, i riti che, per tanto tempo, sono rimasti immutabili. Un tempo che fu e che non è e non sarà mai più. Non serve inutile nostalgia o dietrologia nella ricerca antropologica: essa deve essere di stimolo per il futuro. E appassionare e sensibilizzare chi ascolta e legge.
Le letture ad alta voce sono cibo per la mente e generano crescita emotiva e intellettiva. Rendere vivo e partecipato un momento di reading significa insaporire con spezie la vivanda che s’imbandisce al banchetto della conoscenza, dove i convitati vanno allettati con un pasto gustoso. Solo se saranno ben pasciuti, la materia offerta avrà avuto valore di nutrimento e il libro farà il suo corso.
Prof.ssa Titti M.Concetta Preta
L’autrice Prof.ssa Titti Preta premiata il 3 settembre 2017 a Bova colPrimo Premio per la sezione Saggistica col suo lavoro: Nove saggi di cultura popolare”, ora edito come “Nove come le Muse”