Tra Islam e Occidente – M.Concetta Preta ricorda Fatema Mernissi, voce di donna del Mediterraneo

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Tra Islam e Occidente – M.Concetta Preta ricorda Fatema Mernissi, voce di donna del Mediterraneo

 

Mediterraneo

Mare di mezzo,

m’infrango sulla sabbia,

come onda.

Fantasmi di madri e sorelle

dall’altra sponda mi osservano.

Rotola via l’Occidente libero,

i miei occhi finalmente vedono.

Scene da matrimoni:

spose velate e inconsapevoli.

Ginecei separati:

ore monotone e intriganti.

Finestre traforate:

da qui vola via la libertà.

Mantelli, maschere, veli, reti

che occultano la volontà.

Ma all’interno d’una corte,

tra palmizi e maioliche superbe,

il gelo non c’è più.

Voci di bambine, canti, giochi, grida.

L’ombra calda dell’Islam

è un crogiuolo

e il Mediterraneo

è ponte lanciato nel futuro.

              Maria Concetta Preta 2015 copyright

 Premio Poetico Nazionale Giugno Locrese 2015,

Seconda classificata

                                                                                          

 

Questa settimana desidero coinvolgere i miei affezionati lettori del mio Blog culturale in un tema che non riguarda direttamente il territorio e la regione d’appartenenza. Si tratta di un momento di cordoglio e riguarda, ancora una volta, una donna.

Scrivere da donna sulle donne è la mia cifra, nessuna novità.

Ma la novità è che stavolta non è venuta a mancare una figura femminile del nostro territorio o che ha avuto a che fare, in bene o in male, con la nostra regione.

Infatti stavolta intendo rievocare una donna araba che scrisse di “femminismo islamico”. Per alcuni, dunque, una straniera. Per molti, una diversa da noi.

E’ la scrittrice e sociologa marocchina Fatema Mernissi, venuta a mancare il 30 novembre scorso, a 75 anni, nella sua casa di Rabat.

Perché questa scelta? E’ chiaro dal mio incipit poetico. Sono sempre stata un’attenta osservatrice della cultura mediterranea e rievocare la Mernissi è il modo, per me, in primis per allargare il punto di focalizzazione e dare un respiro più ampio alla testata sui cui settimanalmente scrivo. Non lo faccio per evitare la “chiusura” su temi squisitamente locali. Non intendo dissacrare quanto finora ho fatto – e farò –  con passione, ma credo che sia piacevole e gradito allargare la visuale d’osservazione, di tanto in tanto, a un mondo più vasto al quale sento di appartenere non in quanto calabrese, ma in quanto “cittadina di un mondo”. Quale? Proprio quello mediterraneo, che rappresenta l’alba dell’Occidente.

Mai come ora parlare del Mediterraneo e dei suoi problemi è argomento di dibattito e scontro. Il Mediterraneo è un luogo palpitante di vita, è un mondo che urge, che preme, che pone problemi. E’ normale, visto che è sempre stato un melting pot di razze, un crocevia di popoli sin dall’antichità. E così sarà sempre. Chiese e moschee, crociati e pellegrini, migranti e mercanti: la nostra è un’identità meticcia e, soprattutto noi abitanti dell’estremo lembo dell’Italia, ne siamo figli, pur involontari: è una verità storica, acclarata e indubbia. Può piacere o no. E’ così, punto.

Come, infatti, ebbe a dire David Abulafia: “Il Mediterraneo è stato il più dinamico luogo di interazione tra società diverse sulla faccia del pianeta e ha giocato nella storia della civiltà umana un ruolo molto più significativo di qualsiasi altro specchio di mare”.

Parlare dunque di Fatema Mernissi oggi ha per me senso, quanto e più di ieri: se n’è andata nel momento in cui avremmo avuto ancor bisogno di lei, del suo ruolo di meditarice sull’Islam e di mediatrice tra il cultura araba e occidentale.

Quello che fu Oriana Fallaci per l’Italia e per un’intera generazione, lei lo è stata per il Marocco. Molti la definiscono “la Erica Jong del mondo arabo” e non sbagliano.

Fatema Mernissi era una pioniera, una ribelle, una pasionaria. Une vera intellettuale, sopra le righe, e sempre un passo – se non più – avanti agli altri. Nata nel 1940 in un harem di Fez, come tutte le ragazze di allora non poteva uscire di casa: i muri del grande palazzo di famiglia le stavano strette e si rifugiava sulla terrazza in cerca di libertà. Obbligò la sua famiglia a ritirarla dalla scuola coranica dove aveva iniziato a studiare e frequentò così le prime scuole pubbliche nel Marocco post-coloniale, quindi l’università. Spiccò poi il suo vero volo, verso l’Occidente: Parigi, Svizzera, Stati Uniti.

Nelle sue orecchie risuonavano le parole della madre, che credette sempre in lei, e la sostenne: “Tu cambierai il mondo, vero Fatema? Costruirai un pianeta senza pareti e senza frontiere, dirai a tutti che Allah ci ha fatto tutti uguali, uomini e donne”. E   Fatema lo fece. Con i suoi libri, col suo impegno, con le sue lotte.

In tempi non sospetti, smontò – punto per punto – le argomentazioni degli ultra-conservatori raccontando il ruolo fondamentale che avevano le donne nella società nuova immaginata da Maometto (“Le donne del profeta”) o spiegando perché fosse incomprensibile l’idea di incompatibilità tra Islam e democrazia.  Perciò fu profetessa di un femminismo o, meglio, di un “femminino” islamico in chiave mediterranea. E’ per questo che non l’avviso lontana da me e la considero, come ho modo di scrivere nella mia lirica, “sorella”.

Fatema era una grande affabulatrice, una trascinatrice di platee, ogni suo incontro era salutato dal tutto esaurito. I suoi libri arrivavano sugli scaffali delle librerie come cicloni. Ormai viveva a Rabat, in una casa colorata come era lei, piena di luce, idee, libri, di “sano caos creativo”. Amava infilare un fiore tra i capelli ricci portati al naturale, o indossare caftani a fiorami, sete damascate, tuniche sgargianti, gioielli etnici. Era sempre truccata e a volto scoperto, raffinata e sensuale. Una Magna Mater mediterranea, una dea della natura, questo mi sembrava.

Leggerla poi, sempre una nuova fonte di arricchimento. Aveva tanto da insegnarci, per la costruzione della nostra identità. “Donna fra le donne”, non scrisse solo per le donne. I suoi sono temi cruciali che appartengono a tutti: integrazione tra culture e religioni diverse, tolleranza, convivenza civile in società tendenzialmente multietniche. Il femminismo non è di dominio occidentale, così come non lo sono la libertà individuale o il pensiero critico.

Conosciuta e amata in Italia e nel mondo soprattutto per i suoi romanzi, Fatema Mernissi ha lasciato un’impronta importante nel pensiero femminista islamico, di cui è considerata una delle “apripista”. Tra i suoi libri tradotti in italiano: Le donne del profeta – 1992, La terrazza proibita – 1996, L’harem e l’Occidente – 2000, e Islam e democrazia –  2002.  Il suo fu un grido di protesta contro le democrazie occidentali, la loro arroganza e il tradimento dei valori umani. Soleva dire: «Sono un’intellettuale e uno spirito libero».

Fatema si mescolava alla gente, non era un’intellettuale isolata. Amava recarsi spesso nella sua amata e affollata medina, il mercato di Rabat, dove ritrovava colori, suoni voci a lei familiari e il rosa vivido dei suoi abiti spiccava, forte e brillante, quanto la sua popolarità e il suo carattere. Si mesceva a tutti abitualmente con entusiasmo mite, osservava il suo popolo e ne vedeva i cambiamenti. Il Marocco e il mondo arabo stavano cambiando e lei lo capì prima di tutti, prima della “primavera araba”.

Fatema rappresenta la potenza della narrativa: da autrice globale, tradotta ovunque, paragonata alla Jong, ha preparato il terreno emotivo e intellettuale su cui le donne marocchine hanno potuto combattere la battaglia per i loro diritti.

Un’altra lotta che fece fu quella contro il consumismo che trasforma le persone in macchine. Avrebbe voluto che si ritrovasse una dimensione umana, che costituisce la vera forza della coesione nella comunità.

Da scrittrice di fama internazionale, visse in America, ma amò troppo il suo paese per abbandonarlo e puntò sui giovani, artefici del cambiamento, e si occupò di piccoli progetti locali, come la Caravane Civique, una libreria su ruote, che girava per le aree più remote del paese per presentare alla popolazione i libri e la bellezza delle storie locali o spiegare la nuova legge di famiglia, per illustrare la bellezza dei mestieri artigiani, la tessitura dei tappeti, e anche l’utilità di creare nuovi mercati digitali. Fatema viveva tra passato e presente, tra tradizione e innovazione. Si impegnò socialmente in numerose Ong e cercava sostegni per i suoi progetti. Il suo workshop più importante ha avuto come oggetto la realizzazione di una guida turistica del paese interamente a opera di marocchini del sud. Fino ad allora infatti tutte le guide erano state realizzate da stranieri. Molti partecipanti al progetto erano analfabeti e sono stati aiutati dagli altri. Dar loro visibilità è ciò di cui avevano bisogno; questa era la ricetta contro il terrorismo di Fatema.

Amante dell’arte etnica, del folklore e dell’artigianato locale, aveva capito che il Marocco stava crescendo rapidamente, anche se tutto ciò coincideva con la nascita di grandi centri commerciali e, come la chiamava lei, la “religione del mercato” si espandeva a macchia d’olio, così come continuava l’emigrazione verso l’Europa, la Spagna, l’Italia.

Riguardo al problema del velo islamico, Fatema – che sosteneva un’interpretazione umanistica del Corano e ne studiò il ruolo delle donne – citava un passo contenuto nel sedicesimo volume, in cui una donna si rifiutava di indossare il velo sostenendo che, se Allah l’aveva creata così bella, allora probabilmente non voleva che si nascondesse.                                   L’Islam per lei non era una religione, ma una visione del mondo e considerava la definizione di «musulmana» una gabbia. Era contraria al riformismo musulmano, si rifiutava che le fosse tolta la libertà anche se fu ammonita sul fatto che, per essere moderna, doveva diventare laica. Cosa rispose? Che l’Occidente laico le faceva venire in mente un dio pagano o un individuo slegato dalla natura e sorrideva sarcastica quando gli occidentali parlavano di democrazia: fu critica verso il loro colonialismo, così come verso la loro “democrazia a mano armata”.

Ultimamente la Mernissi si era allontanata dal femminismo sic et simpliciter e lasciava spazio alle giovani attiviste che si impegnavano per cambiare la legge. Il Marocco è stato il primo paese ad avere un giudice della sharia donna e un imam di sesso femminile.  Già nel 1991, comprendendo quanto i mass-media e le neo-tecnologie sarebbero state determinanti per la costruzione di una cultura globale, aveva iniziato a occuparsi dell’impatto della Tv satellitare, anche perché le donne stavano conquistando potere in questo nuovo spazio e ricoprivano ruoli chiave. “Il monopolio dell’informazione si è rotto – ebbe a dire – tutti potranno capire e ragionare con le loro teste”: erano i primi anni ’90. Scusate se è poco.

All’arrivo del nuovo secolo, fu la prima in assoluto a intuire la potenzialità di Internet nella sua terra, una vera e propria rivoluzione. Internet avrebbe costituito “la nuova piazza” e grazie ad essa i giovani non sarebbero rimasti fermi a lungo: questo circa dieci anni prima della primavera araba. Riguardo a questa rivoluzione, la Mernissi si mostrò entusiasta, anche perché il processo era iniziato e non si poteva tornare indietro. “Anche se ci vorrà tempo, indietro non si torna”: parole lapidarie, le sue.

I suoi libri e, in generale, il suo lavoro sul femminismo e l’islam hanno avuto molto successo addirittura in paesi come l’Indonesia o l’Arabia Saudita, in cui i diritti delle donne sono ancora marginali e dove l’adulterio viene ancora punito con la morte per lapidazione.

Un pregiudizio che volle sfatare fu quello del ritratto di un Islam sanguinario, un vero prodotto dell’Occidente. Un volto che non appartiene al paesaggio dell’Islam che lei conosceva direttamente, e che è quello che s’affaccia sul Mediterraneo. Dunque, quello più vicino a noi. Come lei, Fatema.

Un’altra sua bella frase che cito come chiusa? “L’Islam è la bestia nascosta dell’Occidente. Perché infatti fa così tanta paura? Forse perché proietta all’esterno l’inconscio dell’Occidente?” Con quest’interrogativo la Mernissi ci saluta e ci pone una riflessione profonda, che è un obbligo morale. Rispondere è un imperativo etico, un impegno improcrastinabile, alla luce di quanto stiamo vivendo. Grazie Fatema, per averci additato una via, per averci ricordato le colpe della vecchia Europa e le responsabilità dei nuovi imperi nei confronti del mondo islamico ( e non solo ).

Il mondo a modo suo, Fatema Mernissi lo ha cambiato. La promessa fatta alla madre l’ha mantenuta.

Prof.ssa Maria Concetta Preta