Titti Preta legge La Gratitudine di Rossella Maggio

Un volo leggero verso la Gratitudine:

un passo a quattro verso l’ineffabile, alla ricerca dell’essenza del vivere.

In un mondo che disconosce la parola ‘Grazie’, una farfalla si posa su un fiore appena dischiuso, i cui petali sono il ringraziamento che la Natura porge all’universo: è Rossella Maggio, la poetessa leccese autrice anche di opere di prosa, che ci offre in dono la sua ultima silloge, dal titolo la Gratitudine, in cui è contenuta la sua filosofia esistenziale, giunta ad un punto focale di intima indagine.   

La felicità è ciò che cerchiamo nella vita, obiettivo lontano e difficile da raggiungere. Tuttavia, c’è un potere nascosto in ognuno di noi che può aiutare a trovarla: la gratitudine, abilità di apprezzare le cose che abbiano e le persone che ci circondano. Spesso della vita vediamo solo i problemi e le difficoltà, e risultiamo insoddisfatti e incapaci di vedere le cose belle che accadono. Se solo iniziassimo a osservare la vita sotto una luce diversa, ci accorgeremmo che essa è più ricca e piena di quanto pensiamo. Essere grati per ogni singolo aspetto della nostra esistenza ci aiuta a saper apprezzare anche i gesti minimi, provando sprazzi di appagamento. Quando esprimiamo gratitudine, la nostra mente si concentra sugli aspetti positivi della vita anziché sulle cose negative. Questo ci porta a sentirci più ottimisti, al punto da aiutarci a trovare la felicità in ogni momento.

  E’ questo il mantra della ricerca interiore suggellata poeticamente da Rossella Maggio: ‘La felicità non costa niente’ ( titolo di un film di Mimmo Calopresti), ma occorre essere umili per sentirsi felici, precisiamo. ‘Umili’ in senso classico, intendiamoci, alla maniera degli Antichi: il percorso poetico della Maggio rimane un momento di alta laicità classica, in cui ritroviamo l’eco del Sommo Vate, le sonorità della Magna Grecia e voci della Latinità, che ovviamente hanno colpito una lettrice come me, avvezza alle Belle Lettere per l’intero arco della mia vita.

  Della silloge di Rossella, traggo lo spunto per un ‘passo a quattro’, ovvero una breve lectio tetrastica che, privilegiando un ‘angolo quadripartito di definizione’, non toglierà valore ai restanti e preziosi versi dell’intero lavoro, volando leggera come ‘la farfalla leccese’ per toccare alcuni petali del fiore della Gratitudine alla ricerca del suo miele lirico.   

Il primo dei miei quattro passi è dedicato a Dante, della cui presenza nel pensiero della Maggio non posso certo stupirmi, conoscendone l’essenza. ‘22 settembre 2020’:

Ahi serva Italia dei migranti ostello!

Ahi povera Italia dei potenti castello!

Ahi misera Italia cagna di bordello!

È nella mandria autoimmune il coltello,

serena e contenta da sola va al macello.

Un ri-creare movenze dantesche ai giorni d’oggi non è per la Maggio un mero fatto di mode e di ricicli, ma un’intima esigenza di ritrovare autenticità e universalità nelle parole del Vate dell’Italia che amava lo sdegno e la critica sociale, specie in tempi cupi.

Di conseguenza, l’attenzione del mio volo di farfalla va a posarsi su ‘Marzo 2020’, composta nel momento più ‘nero’ della pandemia, quando tutti noi abbiamo avvisato il dolore della clausura e l’impotenza di fronte alla morte, ma solo gli spiriti nobili hanno saputo leggere tra le righe la nefandezza, il particolarismo, la boria, la scaltrezza degli ‘approfittatori’.  Un vero messaggio politico: qui potest capere, capiat.     

Città come necropoli, le case loculi

la fuga dall’abbraccio, dal bacio e la carezza

mette il mondo intero alla cavezza!

Criminali a piede libero e la distanza, se

minima, fa noi del prossimo i nemici.

L’altro reciso dal me come un fiore dal suo

gambo, come può aver coscienza della morte?

Io, inezia di contagio, terribile e nociva. Il noi,

l’amore e l’empatia buttati nel cesso, del sentire

immondizia. E pontificano i boriosi, gli idioti,

i furbi, i navigati, quelli sì che sanno da che parte

sta il loro bene…non più comune.

 La poetessa ci porta a riflettere sulla meschinità del reale e a sottrarcene con un senso di aristocratico diniego dalla massa, così come faceva Dante, che sapeva essere umilissimo e grato ma, nel contempo altezzoso e protervo.

  La vita di porta a essere grati sì, ma anche a navigare controvento se necessario, mai piegandoci al convenzionale e alla proscinesi verso i saccenti e i potenti (che sono spesso simbiotici).

  Anche Giacomo Leopardi rientra in questa categoria di pensatori liberi, uomini mai asserviti e solitari spesso versati alla poesia, l’arte che ci regala autonomia interiore e ci emancipa dalle schiavitù del sentire comune.

  E infatti nel nostro terzo passo della mia trilogia di ‘lettura al volo’, non può mancare l’omaggio a chiare lettere della nostra poetessa al Genio Recanatese, di cui parafrasa L’Infinito (di certo il Bicentenario dalla stesura dell’idillio non poteva da lei essere sottaciuto):

Precisa, ora, la scorgo quella tua siepe

ferma contro il cielo, quel tuo limitare

d’azzurro, pallida una nube ad attraversarlo

e lieve

il salire di una stella all’incanto della sera,

lo schizzo immemore di un sogno impalpabile,

di un genio propria la formidabile invenzione:

immaginare di varcarne perennemente la soglia

e sempre tornare a perdersi, a naufragare nell’ “in…

finito”!

La farfalla magnogreca termina il suo volo con la lirica-manifesto: La Gratitudine. Leggiamola lentamente, col cuore e riflettiamo sulla sua profondità. E non aggiungiamo altro perchè, come l’Amore, la vera Poesia non si può freddamente razionalizzare. 

Dal pozzo unto, nero

degli affanni smagrita

s’alza

la mano tesa a vita

nuova.

Acqua sorgiva la melma

rinnova,

al secchio s’offre limpida,

pura: immacolata.

Grato ne è l’altro me

che se ne disseta.

Grazie, Rossella, di avermi fatto volare con te.

Titti Preta