“Implicita missione” di Claudia Piccinno
Quando la Poesia ti aiuta a vivere
Fortunatamente la Poesia continua a sussistere nella società finta e liquida in cui annaspiamo, schiavi di una civiltà dell’usa e getta. Un mondo fluido che lascia dietro sé residui di bellezza, frantumi di speranza, e insegue solo l’effimero piacere. Ma, improvvisa, arriva la Poesia di una donna, a sfidarci così: arruolati nell’e-commerce, non distinguiamo l’utile dal dilettevole. Medusa è lo schermo che pietrifica il sorriso veicolando incerte verità. E allora si impone a noi una riflessione audace, come lo sono le uniche vere riflessioni. Dirette e temerarie. Perché il poeta è uno che osa. E, se è una donna, ancora di più.
Per secoli a noi donne fu precluso di scrivere e di esprimerci e, ancora, ci sentiamo un po’ tutte figlie di Saffo. Ma, come lei, osiamo. Perché, soprattutto in tempi di crisi e di carestia del pensiero, urge la fame di versi, l’esigenza di poesia (come dice Maria Luisa Spaziani) e ci si chiede, alla maniera del Luzi: Come avrebbe fatto – e farebbe – il mondo senza poeti?
C’è una chiamata superiore per il poeta, appunto la missione implicita di “colui che sa”.
Poeta è colui che non rinuncia a esporsi, che presagisce, intuisce e fabbrica sempre, perché poesia deriva da poesis, ovvero creazione. Poeta come homo faber.
Una donna del fare, la nostra poetessa. Nella sua fucina, come Penelope nella stanza tutta per sé, Claudia tesse una tela di versi, un gomitolo intricato, che però non disfa.
E diventa l’artigiana della propria fenomenologia in versi, perché nella silloge c’è trasfigurata la sua vita. O meglio, la vita.
Novella Orfea, Claudia ci smuove con la sua voce, ci obbliga a riflettere, a ri-trovarci, a ri-sentirci. Almeno questo è ciò che mi arrivato, leggendo con il cuore “Implicita missione”.
È la συμπάθεια (sympatheia) la sua virtù, la vicinanza agli altri: È miele puro la parola amico. Un sentire emozionale comune, che i Latini chiamarono humanitas.
Cos’è la parola poetica di Claudia, se non una medicina doloris senecana? Fiducia nella medicina nel prevenire: Libera mens in corpore sano. S’accorcia l’ombra del dolore. S’allunga la vita se ti vuoi bene.
Dunque una Poesia fautrice di Bene, che ci fa capire la formula della vita, una filosofia spicciola in versi, o vademecum, di cui chiosiamo in breve solo qualche passaggio, lasciando ai futuri lettori il gusto della scoperta, muovendosi tra liriche, haiku, tautogrammi e dediche, tutti prodotti di perfetta maestria.
Esserci senza pretese. Ecco il mantra da cui ripartire senza altruismo gratuito senza vanità disattesa. L’esserci della Piccinno è un “essere-con”, che dischiude il tema della ‘cura’ di Martin Heidegger, struttura ontologica fondamentale del suo pensiero. Essere, non solo esistere. Con la presenza della particella pronominale -ci, che indica una presenza a attiva e benefica, quasi prometeica. Perché, anche se destinati a perdere, occorre fare il Bene.
Questa è la missione: usare la parola, sillaba storta e secca, per aiutare gli altri.
E non a caso la Piccinno si reincarna in figure femminili del mito e della storia greca antica, dotate di proprie virtù, vòlte al Bene: la visione illimitata di Cassandra, la perspicacia di Aspasia, il sapere di Ipazia.
Donne eccezionali, come la suddetta Saffo, che hanno osato in un mondo di uomini, anche se destinate al momento ad esserne sconfitte. Ma “donna è il nome del futuro … Bellezza sarà la sua vittoria, pace l’implicita missione”.
Poetessa benefica, che fabbrica il Bello e, di conseguenza, il Bene, la nostra Piccinno, dantesca Beatrice, da lei citata come metafora della bellezza eterea, emblema distintivo di un amore, stella polare nella notte attuale.
Donna-Poetessa che vuole imparare l’arte dello scivolo per fare lo slalom dell’ipocrisia per sopravvivere: ecco le regole di vita, ecco la missione, in cui conta il sottrarre, non l’accumulare.
La sospensione d’essere è oggi la sola certezza: come Montale, il “ciò che non siamo ciò che non vogliamo” è la sola verità che il poeta può dirci. Perché vale la pena usare questa parola salvifica, che aiuta gli altri col suo esser-ci.
Inoltre nella silloge di Claudia ho ravvisato uno sprazzo di nostalgia per un Sud teocriteo, solare nell’abbacinante bellezza, non verghianamente vinto dalla fiumana della storia. Un Sud vivo e palpitante, seppur talora avvolto da nostalgia omerica.
Con l’uso del realismo, ogni lirica in cui si descrive il Sud ci appare un bozzetto d’amore ritrovato. In quest’idillio talora affiora una linea di malinconia (mai dolore), perché il poeta deve essere un malinconico (Aldo Palazzeschi). E chi è più malinconico di noi Meridionali, sospesi in un viaggio senza tempo e spazio?
La solarità meridionale è l’elioterapia del ritorno, proclamata nell’incipit: una ninfa Clizia è Claudia, che si rivolge al sole magnogreco perché la illumini come se fosse Apollo. E come per il dio del Sole è l’isola di Delo, per lei il ritiro è il Salento, dove vive la sua nostalgia di spensierate ipotesi senza futuro.
Il loco natio come un ‘silente eldorado’, in cui la mente cerca la frescura di una notte agostana e sa che tutto il resto è rumore.
Per vivere, occorre però custodire le memorie: amuleti di un futuro in divenire, feticci di una gioia imbalsamata, compagni di un presente appeso al filo.
Il recupero memoriale dei ricordi salentini (La mia Lecce Bianca la luce bianca la pietra bianche le piazze, incantesimo dello scalpello la mia Lecce), degli affetti: il padre (i cui SMS sono le premure di un uomo, la disperata ricerca di senso una microstoria di ordinario dolore), la madre (i cui capelli sono ragnatele fuori tempo sulla sua spazzola), ma anche l’immancabile tavola delle feste, le friselle, gli aranci, gli ulivi, i fichi…
E, carismatico, ecco affiorare il motto che consideriamo il “sugo della storia” della silloge: Sia benedetta la fotosintesi della memoria, inatteso innesto d’affinità e stupore.
“Da una magnogreca a una magnogreca”
Titti Preta scrittrice e blogger
Ecco un pensiero profondo: “nostalgia per ipotesi spensierate, senza futuro”. Grazie per la condivisione.