Immigrazione&emigrazione nel Sud dell’Europa: il caso Calabria

“Voi siete oggi quelli che noi siamo stati ieri”
Riflessione della scrittrice Maria Concetta Preta

 Ho fatto un sogno, o forse è stata solo la forza della mia immaginazione,
indignata dai tanti casi di intolleranza verso lo straniero. Ho sognato – o immaginato – un paese della mia Calabria, vecchio e spopolato, dove sono rimasti ad abitare solo i vecchi. Pietre antiche, stradine strette, silenzio, abbandono. Davanti a una casa, c’è un’anziana signora, rubiconda e colorita, che si mette a parlare con un giovanotto di colore, alto e slanciato, un africano giunto qui su una carretta del mare per sfuggire alla guerra civile nel suo paese, il Sudan. Se la intende proprio con la signora, riesce a snocciolare qualche parola in dialetto calabrese, a intercalare qualche modo di dire che pronuncia con aria soddisfatta come a significare: “Vedete che ci intendiamo?” E’ da qualche mese in Calabria, ma rimane un clandestino. L’anziana, attratta dalla simpatia del giovane e dalla sua disponibilità ad ascoltarla, cosa per lei molto rara, enuclea con serafica calma e pazienza certosina i sacrifici, le difficoltà, i rischi del viaggio, le sofferenze che lei affrontò nel momento in cui decise di emigrare in Canada per sfuggire alla fame, per uscire dalla miseria e dalla povertà rischiò tutto ed in coscienza decise di affrontare un viaggio di speranza in nave, il bastimento, per cercare un angolo di terra dove poter lavorare e vivere un futuro migliore. L’africano si dimostra sempre più interessato alla storia e, incuriosito di saperne di più, sprona l’anziana a continuare il suo racconto nella consapevolezza di aver trovato una persona disponibile a parlare di un percorso di vita molto simile a quello che lui sta vivendo in difficoltà estreme. Con l’idea fissa di incoraggiarlo e aiutarlo, l’anziana gli dice più volte, quasi come un ritornello: “Resisti, non scoraggiarti di fronte alle difficoltà! Vedrai che il tempo ti compenserà per la scelta che sei stato costretto a fare in quanto troverai da lavorare e potrai vivere in libertà i tuoi giorni di vita”. “Anche noi siamo stati quelli che oggi siete voi” continua l’anziana. “Pensa che sono stata costretta ad abbandonare il mio paese a 13 anni. Ero orfana di padre, morto in guerra, lasciai mia madre, i miei fratelli e i miei compagni di infanzia per più di quaranta anni. Sono andata in Canada dagli zii, ho trovato lavoro come sarta, mi sono sposata, ho raggiunto un certo benessere, ho avuto tre figli. Poi mio marito è morto e non ce la facevo più a stare lontana dalla mia terra. Così sono tornata e oggi mi godo la pensione anche se la famiglia che ho costruito, con amore, sacrifici e tante privazioni, è rimasta a Toronto”. Poi fa entrare il giovane in casa e gli offre del pane con una fetta di formaggio e un bicchiere d vino, che dimostra di apprezzare. Il colloquio si interrompe con un sottile e ricambiato sorriso, un confuso saluto di arrivederci ed un chiaro augurio di buona fortuna.

  A questo punto ho aperto gli occhi e ho cominciato a riflettere su quanta umanità, vicinanza e similitudine esisteva in quell’incontro immaginato e occasionale tra persone diverse, con le loro verità che si intrecciavano: una anziana e tranquilla, l’altro giovane e disperato. I due che dialogano senza conoscersi, accomunati da un destino antico e nuovo, pieno di disperazione, miseria e fame. Una sorte crudele che, contestualizzata al giorno d’oggi, sfocia comunque nella logica antica della emigrazione. Questa occasione di storia raccontata dalla donna anziana al giovane immigrato si accosta alle tante azioni di carità e di reale solidarietà che i Calabresi manifestano nei confronti della persona immigrata in ogni occasione ed in particolare intensificano nei difficili momenti dell’approdo sulle nostre spiagge. Uno spettacolo straziante che da molto tempo coinvolge madri, minori, giovani e anziani del mondo che, per sfuggire dalla miseria e allontanarsi dalle guerre continue e insensate presenti nei loro paesi, si muovono verso i paesi più sviluppati dell’Occidente cercando asilo politico e libertà, lavoro e dignità, benessere e pace, convivenza democratica e un futuro migliore fondato sul rispetto della persona umana, al di sopra del colore della pelle di ognuno, del credo religioso dei tanti, della ideologia politica dei molti.
  C’è un nesso storico che congiunge la storia di ieri, dai calabresi vissuta con amarezza, a quella di oggi che in tanti vivono come fenomeno epocale irreversibile. Dobbiamo stare attenti a non commettere errori di valutazione ed essere consapevoli che il valore dell’uomo non si baratta e la vita di un bambino non ha prezzo. Forti di una radicata cultura dell’accoglienza, di una civiltà dell’ospitalità e di sacralità dello straniero, dobbiamo gridare al mondo che la Calabria è stata un avamposto di accoglienza sin dai tempi di Omero e della Magna Grecia. Mi ritorna alla mente la spontaneità della mia gente che, nei periodi difficili del dopoguerra, con disinvoltura e fare semplice accoglieva il forestiero con la urbanità seriosa del caso e, sorridente, esclamava: “Trasiti, favorite” offrendo un pezzo di quel poco pane che si trovava in casa accompagnato da un generoso bicchiere di vino rosso. Era un segnale di fratellanza, un atto di vicinanza, frutto di quella cultura contadina dominante che oggi assume valore di civiltà e che occorre divulgare e sostenere quale pratica dell’accoglienza che alberga – da sempre- nel cuore di ogni calabrese.
  La legge regionale N° 18 del 12 Giugno 2009 ha riconosciuto meritoria l’azione di soccorso e vicinanza messa in atto quindici anni prima da Sindaci lungimiranti come quelli di Riace e Badolato che hanno saputo accogliere i primi Curdi sbarcati nel litorale Ionico, favorendo quella integrazione che ha consentito loro di vivere il presente ed abitare il futuro del borgo in comunione con i residenti. Un esempio positivo di cui si è accorto in primis un regista tedesco, Wim Wenders, che dichiarava, nella assemblea dei premi Nobel riunita a Berlino che, dopo la caduta del “muro”, la cosa più entusiasmante l’aveva vista nei paesi della Calabria che praticavano l’accoglienza. Di tanto valore restò favorevolmente colpito il noto regista cinematografico che entusiasta passò a produrre il noto ed apprezzato film “Il Volo” illustrando l’avventura del piccolo Ramadullah, afgano di 8 anni, che dopo aver girovagato nel difficile Iran ha percorso in camion la Turchia per giungere in Italia a Crotone e successivamente accolto a Riace. Una storia, tante storie e molti fatti, una cultura ed un impegno costante che messi insieme ci devono indurre a rivendicare con orgoglio che noi calabresi, ultimi di Europa, siamo stati i primi a tendere la mano agli “ultimi” del mondo”.locandina immigrazioneintegrazione 2