Lo stupro negli anni ’70: Franca Rame, caso di “violenza politica” o “stupro ideologico”

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LO STUPRO DI FRANCA RAME (1973) : RIFLESSIONE E LIRICA DI MARIA CONCETTA PRETA 
CORPO
Fibrilla impazzita

 

di contrazioni:

 

scosse, battiti e brividi.

 

Eccitazione, sussulti e fitte.

 

Impasto di sangue e lacrime.

 

Corpo di donna:
involucro modellato

con fango e acqua.
Corpo violato:
 non appartiene a te.
Meglio l’anima, che la pelle.
Corpo svuotato:
apparenza effimera.
Tributo poetico a Franca Rame e alle vittime di stupro
Copyright  Maria Concetta Preta 2016
UNA FREDDA SERA DI LACRIME E SANGUE.
    Milano anni ’70: una città indaffarata, dove si lavora molto e si produce tanto. Il motore industriale dell’Italia avvolta dalla sua famosa nebbia in una serata qualsiasi di marzo.
  Precisamente il 9 Marzo: non è un giorno qualsiasi, è quello successivo alle numerosi manifestazioni per la Giornata della Donna, caldeggiate dalle attiviste del femminismo di piazza e di bottega, dalle pasionarie, dalle operaie, dalle studentesse e dalle donne comuni impegnate a cambiare il destino loro e delle figlie.
  Siamo in anni in cui finalmente le donne fanno cerchio, le loro parole vanno in circolo e il femminismo vuol imporre un decisivo cambiamento al destino “dell’altra metà del cielo”. Per chi c’è e per chi verrà: questo è il bello delle vere lotte. Il non pensare solo al soddisfacimento di un bisogno contingente, ma “volare alti” e immaginare un futuro con generosità e idealismo. Una femminista allora pensava alle figlie e alle nipoti, e a tutte le donne del mondo. Aveva il futuro in testa.
  Così come la protagonista di questa triste storia.
  Siamo dunque nel 1973, e proviamo ad allargare le nostre prospettive. L’Italia vive continue evoluzioni e trasformazioni sociali, e non solo per quanto riguarda il nuovo status femminile. Si cominciano a scontare i limiti del “boom” economico degli anni ‘60  e le piazze e le fabbriche pullulano di manifestanti, di cassintegrati, di licenziati, di lavoratori e studenti che solidarizzano. Lo Stivale è messo alle strette da lotte politiche tra Sinistra e Destra e ogni occasione è buona per scontarsi a sun di manganelli, pugni, molotov, polvere da sparo.
  Tra occupazioni, scioperi, licenziamenti, picchiaggi, azioni di milizia urbana e quant’altro, dalla radio si spandono le hits del momento dei cantautori impegnati, dei gruppi, dei cantanti pop.
  In tv si consuma la consueta liturgia nazional popolare che fa dimenticare problemi e guai. La gente impazzisce per gli sceneggiati nazionali – rigorosamente in bianco e nero –  e per la mitologia della Lotteria Italia (chissà quanti milioni ha portato la Befana…) di Canzonissima con Morandi e Ranieri, di Sanremo con Pippo Baudo e di Rischiatutto con Mike Bongiorno e … tra l’ombelico della Carrà, le gag di Corrado, Vianello e la Mondaini e le imitazioni di Loretta Goggi…  tutti vanno a dormire divertiti e soddisfatti.
  9 Marzo, Milano di sera. Per le strade di gente se ne vede poca, sono tutti rientrati a casa per il desco serale, e poi domani si lavora, a letto presto i grandi e soprattutto i piccini, ma dopo il Carosello. Un fotogramma di una sera del Nord che sta per scolorare nel nero della notte.
  Via Nirone. Una bella donna, alta, bionda e con gli occhiali (che le stanno benone e le conferiscono un’aria vagamente intellettuale) sa che deve darsi una mossa per rincasare … è così tardi e il suo bambino, Jacopo, l’aspetta a casa col papà, Dario.
   Non finisce di pensarci che le si accosta un camioncino e viene fatta salire su di forza da cinque uomini irsuti che se la caricano con un gesto semplice, immediato e  al quale lei non riesce a opporre alcuna resistenza. Cinque uomini contro una sola donna. Facile, rapido, silenzioso.
  Inizia così l’odissea di una donna di quarant’anni molto piacente e conosciuta in tutt’Italia, dal Nord al Sud. Un’attrice impegnata e d’avanguardia che ha fatto del teatro la sua vita: Franca Rame. Non solo moglie di Dario Fo – premio Nobel nel 1997 per la letteratura – ma artista intuitiva e dinamica, sempre un passo avanti rispetto alle altre.
  Franca ha rifiutato molto presto il cliché della bella bionda da copertina, della soubrette da varietà scollacciata e della starlette televisiva che fa da contorno al presentatore.
  No, lei non fa da contorno a nessuno. Si lega presto a Dario, l’uomo della sua vita, finita nel 2013 ad 84 anni. Recitano in tanti film, fanno tanta TV, ma tutta alternativa come lo erano loro due. Più volte costretti a imbavagliarsi, fanno satira feroce e non sempre vengono capiti e apprezzati dal grande pubblico. Troppo avanti, come i veri intellettuali. Ma la storia darà loro ragione.
  Franca però non brilla di luce riflessa, pur costituendo con Dario una collaudata coppia artistica che per 50 anni ha stregato il suo pubblico scelto. Lei è una “scrittora” e i loro spettacolo nascono a quattro mani.
  In più Franca si è sempre data da fare per le donne, a testa e a voce alta. Ha preso posizione, si è esposta anche politicamente, ha sfilato nei cortei, afferrato un megafono, concionato.
  Ha scritto, pubblicato e ha urlato dalle tavole del palcoscenico, partecipato a collettivi … insomma si è sempre messa in gioco, e alla grande, e – ovviamente – a sinistra, secondo una tendenza radicale di quegli anni.
  Lei poteva farlo e sentiva di doverlo fare. Non gliel’hanno imposto, lo ha scelto liberamente, come ha sempre vissuto. Franca di nome e di fatto.
  Da tempo coopera insieme al marito con Soccorso Rosso nelle carceri e non basta. Da brava comunista, prende posizione, sempre con Dario, sul caso Pinelli, miccia infuocata di una lotta politica senza quartiere.
  Ora i fascisti vogliono fargliela pagare. Ultimamente la coppia ha davvero esagerato. Franca è la degna compagna di Fo, è una tosta, che non molla, devono farla zittire.
  Lo faranno nel modo più bieco e vile: con lo stupro. E’ chiaro che si intende colpisce attraverso l’elemento debole, la propria compagna di vita, la madre del figlio Jacopo, proprio Dario Fo. Punire lui attraverso lei. E’ un stupro politico, organizzato con attenzione, ben supportato.
 9 Marzo, Milano, via Nironi, di sera. Alla periferia cinque uomini caricano Franca su un camioncino. Le spaccano gli occhiali, la brutalizzano a turno, la tagliuzzano con una lametta, la bruciacchiano con le sigarette, le pronunciano le più orribili frasi … poi, dopo alcune ore, la scaricano in un parco.
  Seminuda, sanguinante, sfregiata nel corpo e nell’anima, Franca è un cencio sbrindellato.
  Non sa neanche lei come riesce – con le sue gambe – ad arrivare alla Questura, avvisando il marito. Poi, dopo un umiliante interrogatorio, se ne tornerà a casa, nel suo guscio, nella sua conchiglia, a leccarsi le ferite.
  Quello che segue in quella notte terribile del 9 marzo 1973 in casa Fo lo immaginiamo. Come in ogni copione di una storia che si ripete sempre e ovunque, anche nella Milano-bene di una serata qualsiasi del marzo 1973, subito dopo un’esaltante giornata dedicata alle donne.
  9 Marzo, è già notte. Via Marcora 4. Secondo piano del palazzo che ospita i carabinieri della divisione Pastrengo. Il generale Giovanni Battista Palumbo, ex repubblichino e futuro iscritto alla P2, ha appena ricevuto la notizia di una donna violentata in via Nirone. La vittima è stata sequestrata da cinque persone, caricata su un furgone e qui stuprata. Con lui ci sono altri ufficiali. Qualcuno dice: “Era ora”. Palumbo sorride.
  Il resto è cronaca giudiziaria, anni di lotte estenuanti in tribunale, per arrivare a sentenze-beffe. Ma non si tratta solo di uno stupro, ma di una storia gonfia di misteri ancor oggi, a tre anni dalla morte di Franca Rame, senatrice della Repubblica italiana dal 2006 al 2008.
  Lo stupro si inquadra in ambienti di estrema destra con fascisti stipendiati dallo Stato, foraggiati di armi, travestiti da intellettuali di sinistra, con sotto braccio l’Unità o Lotta Continua.
  E’ una storia maledetta che nasce con un sospetto: i camerati violentarono Franca Rame ispirati da importanti esponenti degli apparati militari.
  Il 10 marzo 1973 la denuncia arriva in Procura. Gli investigatori si concentrano sul gruppo La Fenice, versione milanese di Ordine Nuovo, movimento politico di estrema destra. A guidare La Fenice c’è Giancarlo Rognoni, il cui braccio destro, all’epoca, è Nico Azzi che tenterà di far saltare in aria il treno Torino-Roma utilizzando un chilo di tritolo il 7 aprile 1973. Sarà arrestato e inizierà a collaborare.
  Il 12 aprile 1973 a Milano, durante il corteo del Msi contro “la violenza rossa”, una bomba a mano uccide l’agente di polizia Antonio Marino. Nico Azzi viene accusato di aver fornito la cassa di granate ai militanti del Movimento sociale.
  Questo l’ambiente dentro al quale i magistrati cercano i violentatori dell’attrice Franca Rame. L’inchiesta però si avvita su se stessa. L’ipotesi è giusta, ma lo si saprà solo 25 anni dopo, nel 1998: qualcuno parla.
  Si tratta di Biagio Pitarresi, malavitoso milanese ed ex picchiatore per conto della Fenice. Lo ascolta il giudice Guido Salvini che indaga sulla strage di piazza Fontana. A pagina 433 dell’ordinanza d’arresto del 3 febbraio 1998 si legge: “Pitarresi ha raccontato che l’azione contro Franca Rame era stata proposta a lui, ma si era rifiutato ed era subentrato Angelo Angeli il quale aveva materialmente agito con altri camerati”. La notizia arriva fuori tempo massimo. Il reato è prescritto. Angelo Angeli non è più perseguibile, pur restando l’unico identificato per lo stupro di Franca Rame.
  Angelo Izzo, estremista di destra, arrestato perché responsabile del “massacro del Circeo” (nel settembre 1975, insieme ad altri due uomini, Izzo sequestrò e violentò due ragazze, una delle quali morì) nel 1987 dichiara che l’azione era stata suggerita da ufficiali della Pastrengo, nel quadro di co-belligeranza fra settori di tale divisione e gli estremisti di destra per arrestare il pericolo comunista.
FRANCA RAME
  Insomma, ciò che avvenne in via Nirone non fu solo un fatto di violenza, ma anche di potere. Occulto e deviato. Un piano organizzato da generali della Pastrengo e rappresentanti di quella “maggioranza silenziosa” che a Milano mobilitava la borghesia contro il pericolo rosso. Un potere che innescò la violenza contro Franca Rame. E i cui mandanti, forse, vanno cercati nelle gerarchie superiori alla Divisione Pastrengo di via Marcora 4. Non solo uno stupro, dunque, ma anche uno dei tanti “misteri” d’Italia.
  Ora, vi lascio il testo integrale del famoso Monologo “Lo stupro”, scritto dalla Rame nel 1975 – a due anni dallo stupro – in cui rievoca quella sera terribile di lacrime e sangue. Lo pubblicò nel 1979, lo recitò a Fantastico 1987 – voluta da Celentano, il mattatore – ed io la vidi. Ero giovanissima e m’innamorai di lei. Ho scritto per ricordarla a me e a tutti coloro che leggeranno questa mia riflessione settimanale.
                                       Maria Concetta Preta
PRESENTAZIONE DEL MONOLOGO: “LO STUPRO” 1975
Al centro dello spazio scenico vuoto, una sedia.
PROLOGO
FRANCA: Ancora oggi, proprio per l’imbecille mentalità corrente, una donna convince veramente di aver subito violenza carnale contro la sua volontà, se ha la “fortuna” di presentarsi alle autorità competenti pestata e sanguinante, se si presenta morta è meglio! Un cadavere con segni di stupro e sevizie dà più garanzie. Nell’ultima settimana sono arrivate al tribunale di Roma sette denunce di violenza carnale.
Studentesse aggredite mentre andavano a scuola, un’ammalata aggredita in ospedale, mogli separate sopraffatte dai mariti, certi dei loro buoni diritti. Ma il fatto più osceno è il rito terroristico a cui poliziotti, medici, giudici, avvocati di parte avversa sottopongono una donna, vittima di stupro, quando questa si presenta nei luoghi competenti per chiedere giustizia, con l’illusione di poterla ottenere. Questa che vi leggo è la trascrizione del verbale di un interrogatorio durante un processo per stupro, è tutto un lurido e sghignazzante rito di dileggio.
MEDICO Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un certo piacere… una inconscia soddisfazione?
POLIZIOTTO Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la desiderassero tanto, con così dura passione?
GIUDICE È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?
MEDICO Si è sentita eccitata? Coinvolta?
AVVOCATO DIFENSORE DEGLI STUPRATORI Si è sentita umida?
GIUDICE Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi come espressioni di godimento?
POLIZIOTTO Lei ha goduto?
MEDICO Ha raggiunto l’orgasmo?
AVVOCATO Se sì, quante volte?
MONOLOGO
Franca si siede sull’unica sedia posta nel centro del palcoscenico.
FRANCA:
C’è una radio che suona… ma solo dopo un po’ la sento. Solo dopo un po’ mi rendo conto che c’è qualcuno che canta. Sì, è una radio. Musica leggera: cielo stelle cuore amore… amore…
Ho un ginocchio, uno solo, piantato nella schiena… come se chi mi sta dietro tenesse l’altro appoggiato per terra… con le mani tiene le mie, forte, girandomele all’incontrario. La sinistra in particolare.
Non so perché, mi ritrovo a pensare che forse è mancino. Non sto capendo niente di quello che mi sta capitando.
Ho lo sgomento addosso di chi sta per perdere il cervello, la voce… la parola. Prendo coscienza delle cose, con incredibile lentezza… Dio che confusione! Come sono salìta su questo camioncino? Ho alzato le gambe io, una dopo l’altra dietro la loro spinta o mi hanno caricata loro, sollevandomi di peso?
Non lo so.
È il cuore, che mi sbatte così forte contro le costole, ad impedirmi di ragionare… è il male alla mano sinistra, che sta diventando davvero insopportabile. Perché me la storcono tanto? Io non tento nessun movimento. Sono come congelata.
Ora, quello che mi sta dietro non tiene più il suo ginocchio contro la mia schiena… s’è seduto comodo… e mi tiene tra le sue gambe… fortemente… dal di dietro… come si faceva anni fa, quando si toglievano le tonsille ai bambini.
L’immagine che mi viene in mente è quella. Perché mi stringono tanto? Io non mi muovo, non urlo, sono senza voce. Non capisco cosa mi stia capitando. La radio canta, neanche tanto forte. Perché la musica? Perché l’abbassano? Forse è perché non grido.
Oltre a quello che mi tiene, ce ne sono altri tre. Li guardo: non c’è molta luce… né gran spazio… forse è per questo che mi tengono semidistesa. Li sento calmi. Sicurissimi. Che fanno? Si stanno accendendo una sigaretta.
Fumano? Adesso? Perché mi tengono così e fumano?
Sta per succedere qualche cosa, lo sento… Respiro a fondo… due, tre volte. Non, non mi snebbio… Ho solo paura…
Ora uno mi si avvicina, un altro si accuccia alla mia destra, l’altro a sinistra. Vedo il rosso delle sigarette. Stanno aspirando profondamente.
Sono vicinissimi.
Sì, sta per succedere qualche cosa… lo sento.
Quello che mi tiene da dietro, tende tutti i muscoli… li sento intorno al mio corpo. Non ha aumentato la stretta, ha solo teso i muscoli, come ad essere pronto a tenermi più ferma. Il primo che si era mosso, mi si mette tra le gambe… in ginocchio… divaricandomele. È un movimento preciso, che pare concordato con quello che mi tiene da dietro, perché subito i suoi piedi si mettono sopra ai miei a bloccarmi.
Io ho su i pantaloni. Perché mi aprono le gambe con su i pantaloni? Mi sento peggio che se fossi nuda!
Da questa sensazione mi distrae un qualche cosa che subito non individuo… un calore, prima tenue e poi più forte, fino a diventare insopportabile, sul seno sinistro.
Una punta di bruciore. Le sigarette… sopra al golf fino ad arrivare alla pelle.
Mi scopro a pensare cosa dovrebbe fare una persona in queste condizioni. Io non riesco a fare niente, né a parlare né a piangere… Mi sento come proiettata fuori, affacciata a una finestra, costretta a guardare qualche cosa di orribile.
Quello accucciato alla mia destra accende le sigarette, fa due tiri e poi le passa a quello che mi sta tra le gambe. Si consumano presto.
Il puzzo della lana bruciata deve disturbare i quattro: con una lametta mi tagliano il golf, davanti, per il lungo… mi tagliano anche il reggiseno… mi tagliano anche la pelle in superficie. Nella perizia medica misureranno ventun centimetri. Quello che mi sta tra le gambe, in ginocchio, mi prende i seni a piene mani, le sento gelide sopra le bruciature…
Ora… mi aprono la cerniera dei pantaloni e tutti si dànno da fare per spogliarmi: una scarpa sola, una gamba sola.
Quello che mi tiene da dietro si sta eccitando, sento che si struscia contro la mia schiena.
Ora quello che mi sta tra le gambe mi entra dentro. Mi viene da vomitare.
Devo stare calma, calma.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”. Io mi concentro sulle parole delle canzoni; il cuore mi si sta spaccando, non voglio uscire dalla confusione che ho. Non voglio capire. Non capisco nessuna parola… non conosco nessuna lingua. Altra sigaretta.
“Muoviti puttana fammi godere”.
Sono di pietra.
Ora è il turno del secondo… i suoi colpi sono ancora più decisi. Sento un gran male.
“Muoviti puttana fammi godere”.
La lametta che è servita per tagliarmi il golf mi passa più volte sulla faccia. Non sento se mi taglia o no.
“Muoviti, puttana. Fammi godere”.
Il sangue mi cola dalle guance alle orecchie.
È il turno del terzo. È orribile sentirti godere dentro, delle bestie schifose.
“Sto morendo, – riesco a dire, – sono ammalata di cuore”.
Ci credono, non ci credono, si litigano.
“Facciamola scendere. No… sì…” Vola un ceffone tra di loro. Mi schiacciano una sigaretta sul collo, qui, tanto da spegnerla. Ecco, lì, credo di essere finalmente svenuta.
Poi sento che mi muovono. Quello che mi teneva da dietro mi riveste con movimenti precisi. Mi riveste lui, io servo a poco. Si lamenta come un bambino perché è l’unico che non abbia fatto l’amore… pardon… l’unico, che non si sia aperto i pantaloni, ma sento la sua fretta, la sua paura. Non sa come metterla col golf tagliato, mi infila i due lembi nei pantaloni. Il camioncino si ferma per il tempo di farmi scendere… e se ne va.
Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male… nel senso che mi sento svenire… non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo… per l’umiliazione… per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello… per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero… mi fanno male anche i capelli… me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia… è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca.
Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura.
Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido…
Torno a casa… torno a casa… Li denuncerò domani.
Buio.                                                                                                             
(Questo brano è stato scritto nel 1975 e rappresentato nel 1979 in Tutta casa, letto e chiesa).
PROF.SSA MARIA CONCETTA PRETA – 2016