Festival delle Arti II ed.: Omaggio a Dante e Premiazione alunni Liceo Classico

OMAGGIO A DANTE

 

 

 

La Giornata Dantesca al Festival delle Arti II edizione (21 dicembre 2021) è stata introdotta dalla Presidente della Dante Alighieri prof.ssa Maria Liguori Baratteri che così si è espressa su Dante, il germe dell’Europa: “L’Europa ha come valori fondanti la libertà e la democrazia, presenti nel passato classico. Le sue radici sono: profetico-giudaiche (rispecchiate in Roma e Gerusalemme), metafisiche (Aristotele ed Euclide) giuridiche (diritto romano). Grecità, romanità e cristianità si fondono nell’Europa e trovano in Dante il testimone più autorevole in un’epoca di mezzo quale fu il Medioevo”.

 La Giornata ha avuto al suo centro la lectio magistralis del prof. Romeo Bufalo, docente di Estetica all’Unical, dal titolo: La poesia di Dante come ricerca di senso (lezione di estetica sull’arte dantesca)

Rari nantes in gurgite vasto poetò Virgilio: espressione che ben si coniuga con quanti cercano di sintetizzare la cultura umanistica con quella scientifica, cosa oggi parecchio strana, ma che nel Medioevo era del tutto normale. Dante è, infatti, la perfetta summa del sapere: in lui non v’è scissione tra umanesimo e scienza e si muove con perizia tra numeri, stelle, miti e figure retoriche, da buon navigatore “per l’alto mare aperto”.

Dante, tacciato di ereticità, fu riabilitato da papa Paolo VI nel 1965 con l’enciclica “Motu proprio” in cui è un dominus altissimi cantus (nel 1965 si festeggiò il Settecentesimo anno dalla nascita)

La ricerca presuppone impegno

Nel primo circolo romantico, formatosi a Jena intorno ai fratelli Schlegel e alla rivista “Athenäum” (1798-1800), pubblicata a Berlino su loro iniziativa, si pose al centro degli studi la letteratura europea medievale e moderna, ricercando la genesi di un’arte “romantica” in opposizione al classicismo antico. Tra i caratteri del romanticismo letterario per Schlegel ci sono:

  • l’ironia, intesa come superiorità e distacco del poeta nei confronti della propria creazione;

  • la metafora (donde la rivalutazione del dramma barocco spagnolo)

  • una nuova mitologia di derivazione cristiano-medievale. Nel cristianesimo è radicato il desiderio di infinito o Sehnsucht, l’aspirazione a trascendere la finitezza del mondo.

Il filosofo romantico G. W. Hegel vedeva nell’arte il manifesto sensibile della vita e sosteneva che ci fosse stato un momento storico in cui le rappresentazioni artistiche non c’erano, un momento in cui si sono manifestate ed un momento in cui sono scomparse:

  • Il primo tentativo, fallimentare, di rappresentare l’Assoluto con l’arte, si è avuto con le popolazioni precedenti alla Grecia classica.

  • Il periodo successivo è quello dell’arte simbolica della Grecia classica in cui l’Assoluto trova la sua più idonea rappresentazione.

  • L’ultima fase è quella dell’arte cristiano medievale che rompe la bella eticità del mondo antico e l’equilibrio armonico della polis.

Sistema dell’idealismo trascendentale (1800) di Schelling: grazie alla sua concezione dell’identità di spirito e natura, e alla visione dell’arte come organo dell’assoluto in quanto rappresentazione dell’infinito nel finito, esso divenne per qualche anno il testo filosofico ufficiale del romanticismo tedesco.

Nella sua Lezione di letteratura e arte Schlegel afferma: “Tutta l’arte bella non è ozioso divertimento, ma inclinazione basilare originaria dell’anima umana”. Si avverte l’esigenza di trovare un metron, un criterion che spiegasse la sensatezza di ciò che accade, anche se non tutto è misurabile e quantificabile nella vita, come i SENTIMENTI. Perciò l’arte e la letteratura nascono per dare un senso a ciò che non è immediatamente sensibile e finito, e per rappresentarlo usa strumenti finiti.

Le arti nacquero dall’esigenza di orientarsi nell’incertezza del mondo, andando oltre ciò che è immediato e misurabile. Pur con gli strumenti finiti di cui l’uomo è dotato, che i Latini chiamavano metra, il poeta cerca di esprimere l’indicibile. La poesia, dal greco ποίησις, poiesis, “creazione”, “rifacimento del mondo”, rappresenta l’infinito attraverso il finito. L’arte esprime dunque l’assoluto in forme finite.

L’arte dantesca “cristiano/romantica” intesa come sublime ricerca dell’Amore e della Bellezza  

Il cristianesimo ruppe la bella eticità del mondo classico, quando l’uomo antico non avvisava la scissione tra sé e il mondo e il tuo telos (fine) era essere felice nel mondo terreno. La visione di vita cristiana ribalta questa visione: il telos è in un mundus alter post vitam, non sulla terra.

Il dramma dell’uomo medievale è la tensione tra la finitezza del mondo e le aspettative verso l’infinito dopo la morte. Questa tensione è già ricerca di senso, sottesa all’architettura della Commedia, incentrata su un’avventura (da advenio) umana in forma di viaggio.

La forma poetica è un kosmos epeion (un ordine logico di parole alla ricerca del bello.

Edgar Allan Poe sosteneva lo straordinario congegno dell’opera artistica e vedeva nella poesia la creazione armonica della bellezza. Egli scriveva a tal proposito:

“Come un giglio si riflette nel lago, o gli occhi di Amarillide in uno specchio, così avviene che già la semplice ripetizione, orale o scritta, di queste forme, di questi suoni, di questi odori e di queste sensazioni, è una sorgente duplicata di diletto. Ma una semplice ripetizione non è poesia. […] Non è semplice apprezzamento della Bellezza che ci è dinanzi [ciò che serve per fare poesia]: è frenetico sforzo di voler raggiungere la Bellezza al di sopra di noi, la Bellezza celeste. Ispirati come da un’estatica prescienza della luce al di là della morte, noi lottiamo, attraverso le multiformi combinazioni tra le cose e i pensieri del Tempo, per conseguire almeno una parte di quella Grazia i cui elementi appartengono, forse, all’eternità. E così, quando dalla poesia […] noi ci sentiamo commossi fino alle lacrime, allora non è per un eccesso di piacere […], ma per un certo inesistente, inquietante rammarico di non poter cogliere ora, mentre siamo qui sulla terra, una volta per sempre, quelle gioie divine e rapinose di cui attraverso la poesia o la musica non afferriamo che brevi e indistinti balenamenti.”

Il senso è l’essenza stessa della natura umana, è Amor inteso come Intelletto d’Amore, come intelligere amorem e come amor intelligens (ossia genitivo soggettivo e oggettivo: capire l’amore e amore come conoscenza)

Michele Barbi: Amore carnale e lussurioso come concupiscentia carnis et oculorum

Amor che move il sole e l’altre stelle e dà kosmos al kaos. È amore disinteressato, eros platonico (Platone è più presente di Aristotele nella Commedia, a ben guardare). È l’amore dello Stil Novo dei Fedeli d’amore.

È l’amore per il sapere, la philosophia che si ritrova nel Liber figurarum del mistico calabrese Gioacchino da Fiore, grande maestro di Dante in cui la sophia è infinita e si auto-rinnova, proprio come l’amore.

L’Amore è generato dal desiderium (da de e sidus ovvero l’assenza della stella) che non cessa mai, non si esaurisce mai e così è l’Amore in Dante, è continua ricerca e non significa appagamento. È una tensione inestinguibile come la filosofia, è amor sapientiae e sapientia amoris in una forma chiastica.

L’Amore è la forza che mette in moto l’intelletto.

Alcuni passi di Dante in cui si ravvisa il senso dell’Amore

  1. Purgatorio, c. XXVI, i golosi (come Forese Donati). Vi è un poeta, per Dante di scarso valore, Bonaggiunta Orbicciani, e si disquisisce di Amore.

  1. Le Rime, studiate da Gianfranco Contini: nella n. 102 si parla di Petra che rappresenta un amore scabroso e laido che dà vita ad erotikà pathemata

  1. Inferno, c. X: ovvero il potere di una sola parola che dà senso. La parola è “ebbe”: Cavalcante de’ Cavalcanti intuisce da qui che il figlio Guido è morto!

Infratti a volte per dare senso al tutto nella poesia dantesca basta un “soffio verbale”. Oppure occorre il silenzio (come il famoso silenzio di Aiace nella Nekyia omerica, quando Ulisse lo vede tra le anime dei morti), perché davanti all’inesprimibile le parole non servono (la c.d. ineffabilità della parola umana per spiegare Dio e i misteri del Paradiso, si veda il c. I del Paradiso)

  1. , c. XII: Virgilio (ovvero la mens) afferma che alcuni misteri non si possono svelare con l’humana ratio ovvero non si può applicare il quid sit (che ci dice il cos’è), ma occorre fermarsi al quia che nella logica scolastica medievale ci dice ciò che è evidente.

  2. Canto del “folle volo” ovvero il XXVI dell’Inferno in cui Ulisse (l’uomo moderno, secondo Luciano Canfora) è assetato di sapere, il suo è un amore in finito che non si esaurirà mai, è ricerca continua di un senso del vivere che fa superare i limiti della ratio La sua è una follia (manìa) platonica che lo eleva in alto su tutti gli altri uomini (folle volo). La sua insana curiositas non si accontenta del quia, ma punta al quod sit.

La poesia di Dante si pone tra il finito e l’infinito e questa tensione porta il poeta alla ricerca di senso. La sua salvezza infatti, oltre ad essere quella dal peccato, è una ricerca del senso della vita umana e dietro la struttura ortodossa del poema si intravede un animo inquieto che vuole cogliere l’essenza della natura umana. A spingere la ricerca del sapere è l’amore inteso non come semplice sensazione irrazionale ma come passione per la conoscenza, si tratta di un intelligere amor. Il sapere ci attrae e ci fa innamorare di noi stessi, ma gli uomini (in quanto esseri finiti) devono soffermarsi al quia, al fatto della costatazione diretta.

La ricerca di senso della poesia dantesca è dunque incardinata sull’Amore.

Questo limite è ben espresso nel canto III del Purgatorio dove viene messo in luce il fatto che la gente deve accontentarsi di ciò che è stato rivelato, perché se avesse potuto veder tutto non sarebbe stato necessario che Gesù nascesse.

Matto è chi spera che nostra ragione        

possa trascorrer la infinita via

che tiene una sustanza in tre persone.

(Divina Commedia, Purgatorio, canto III, vv. 34-36)

Parafrasi:

È folle chi spera che la nostra ragione /possa percorrere la via infinita /che tiene una sola sostanza in tre persone (possa comprendere il dogma della Trinità).

Premio letterario indetto dal Comitato D. Alighieri – Vibo Valentia

L’ESILIO COME CONDIZIONE DI VITE SPEZZATE. IL DRAMMA VISSUTO DA CHI È COSTRETTO A LASCIARE LA PROPRIA TERRA.

 

Prof.ssa M. Concetta Preta (lettrice volontaria di Dante per Libriamoci): 

L’esilio di Dante

La profezia di Cacciaguida nel Canto XVII del Paradiso (46-69)

Dante, profetizza l’avo, dovrà abbandonare Firenze allo stesso modo in cui Ippolito dovette partire da Atene per la malvagità della sua matrigna Fedra. Questo è voluto già nel 1300 da papa Bonifacio VIII, nella Curia dove ogni giorno si mercanteggia Cristo: la colpa dell’esilio verrà imputata ai vinti, ma ben presto la punizione verso i Fiorentini dimostrerà la verità dei fatti. Dante dovrà lasciare ogni cosa più amata, prima pena dell’esilio, quindi proverà com’è duro accettare il pane altrui mettendosi al servizio di vari signori. Ciò che gli sarà più fastidioso sarà la compagnia di altri fuorusciti, sempre pronti a mettersi contro di lui, tuttavia saranno loro (e non Dante) ad avere le tempie rosse di sangue (nella battaglia della Lastra) e le conseguenze del loro comportamento dimostreranno la loro follia bestiale così che per Dante sarà stato molto meglio fare parte per sé stesso.

Qual si partio Ipolito d’Atene

per la spietata e perfida noverca,

tal di Fiorenza partir ti convene.                                       48

 

Questo si vuole e questo già si cerca,

e tosto verrà fatto a chi ciò pensa

là dove Cristo tutto dì si merca.                                       51

 

La colpa seguirà la parte offensa

in grido, come suol; ma la vendetta

fia testimonio al ver che la dispensa.                            54

 

Tu lascerai ogne cosa diletta

più caramente; e questo è quello strale

che l’arco de lo essilio pria saetta.                                57

 

Tu proverai sì come sa di sale

lo pane altrui, e come è duro calle

lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.                           60

 

E quel che più ti graverà le spalle,

sarà la compagnia malvagia e scempia

con la qual tu cadrai in questa valle;                            63

 

che tutta ingrata, tutta matta ed empia

si farà contr’a te; ma, poco appresso,

ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.                               66

 

Di sua bestialitate il suo processo

farà la prova; sì ch’a te fia bello

averti fatta parte per te stesso.                                        69

 

I tre premiati in ordine e uno stralcio del loro elaborato (scelto dalla prof.ssa Preta)

1. Gemma Scoleri

Dante è politicamente attivo nell’Italia duecentesca, divisa tra ghibellini e guelfi, quest’ultimi frazionati in neri e bianchi, di cui faceva parte il Sommo Poeta. In un contesto in cui i rapporti tra i guelfi bianchi e papa Bonifacio VIII si inasprivano sempre più, mentre Dante era a Roma come parte di un’ambasceria, si arriva alla presa del potere da parte dei neri con l’aiuto di Carlo di Valois, i quali attuarono una politica di persecuzione ed espulsione dei guelfi bianchi ostili al papa, tra i quali Dante, che fu esiliato nel 1301 con le accuse, riportate nella sentenza del tribunale cittadino: di baratteria, frode, falsità, dolo, malizia, inique pratiche estorsive, proventi illeciti…e lo si condanna a 5000 fiorini di multa, interdizione perpetua dai pubblici uffici, esilio perpetuo (in contumacia), e se lo si prende, al rogo, così che muoia. Dopo un tentativo fallimentare di rientro nella     bellissima figlia di Roma, Fiorenza (così viene epitetata Firenze nel Convivio) Dante trascorre la prima fase dell’esilio tra la Romagna, Padova, Treviso, ospite di diverse corti; successivamente nel Casentino e, dopo la delusa speranza di una renovatio imperii con l’ascesa di Arrigo VII, a Verona alla corte di Bartolomeo e Cangrande della Scala, che esalterà nella cantica del Paradiso (XVII, vv. 70-75, 85-90). Si stabilisce, infine, a Ravenna, dove muore nel 1321.

2. Antonella Schiavello

La partenza nella notte, il respiro affannato, il tragitto per raggiungere la nave. Un mondo che si sgretola dietro ogni passo. Gli occhi stanchi si chiudono, le gambe appesantite dalla fatica cedono, l’oblio del sonno. Non dorme, però la speranza arde, viva, nel cuore di tutti coloro che sono costretti all’esilio. Speranza di un ritorno o di una nuova vita. Il Sommo Poeta sognò sempre di ritornare al “bell’ovile” cosicché potesse riscattare il suo nome da ogni accusa infamante. Questa nuova condizione fu tormentosa e disperata, e sebbene inizialmente scisse “l’esilio, com’è dato, onor mi tengo”, andò alla ricerca di un modo per riscattarsi e per tornare nella sua terra. E sdegnosa fu la proposta dell’amnistia che aveva come prezzo il riconoscimento della propria colpevolezza e, cosa ancor più grave, dell’umiliazione pubblica… lui che aveva lottato per la sua Fiorenza, che aveva saputo ergersi componendo versi eloquenti e profetici. Con rammarico e spregio rinuncia alla speranza di ritornare lì dove aveva lasciato “ogni cosa diletta” condannando sé stesso per il resto della vita ad una condizione di esule, poiché la cosa più importante era mantenere la dignità di uomo e di poeta, anche se ciò avrebbe voluto dire cercare protezione e alloggio in altre città della Penisola.

3. Giovanni De Marco

Esilio: la soluzione per disfarsi degli avversari politici e mettere fuori pericolo gli organi di governo da eventuali ritorsioni. Per Dante rappresentò un momento di sofferenza, di ripensamento, di meditazione, di studio … che lo portarono ad un lavoro intenso per una produzione letteraria e poetica assolutamente unica e di estrema qualità. Lontano da Firenze, Dante osservò la realtà della sua città e della sua epoca in modo più nitido: e vi vide corruzione, egoismo, odio. La denuncia e il tentativo di indirizzare l’uomo verso la retta via furono per lui l’ispirazione della Commedia, un poema allegorico-didattico, avviato da un momento di crisi e riflessione sulla propria vita.

Esilio: pellegrinaggio, reale e immaginario, metafora di un percorso di consapevolezza spirituale che porta ogni credente verso la dimensione della Salvezza. Il grande viaggio parte dallo smarrimento e dal buio totale, prima nell’oscurità dell’Inferno dove il poeta, peccatore bisognoso di redenzione, incontra, guidato dal grande Virgilio, molti altri peccatori, uomini e donne del passato ma anche del presente, disposti in una architettura immaginifica e terribile…quindi il Purgatorio, dove condivide la sua pena da purificare con quella altrui, e infine in Paradiso dove ascende, accompagnato da Beatrice, simbolo di Teologia e Beatitudine, fino alla Vergine che apre alla visione celeste e all’ indescrivibile luce di Dio.

 

Cerimonia di svelamento delle tele a cura della Prof.ssa Preta. 

La classe II D, coordinata dalla prof.ssa di Lingua e Cultura Greca M. Concetta Preta, ha omaggiato il Sommo Poeta con immagini e tre dipinti che sono stati svelati durante la manifestazione.

Il tema assegnato dalla docente è stato: L’ANTICHITA’ GRECA CLASSICA CON MITI E PERSONAGGI NELL’INFERNO DANTESCO.

I TRE DIPINTI sono stati realizzati dalle allieve:

Borgese Lucia, Flegiàs che traghetta Dante e Virgilio nella palude dello Stige, Inf., C. VIII- Disegno a matita con tecnica chiaroscuro cm 29,7×42

Esegesi: Nel V cerchio i due poeti avanzano lungo il girone custodito da Pluto, ove ribolle la palude dello Stige, in cui sono immerse anime ignude e lorde di fango, intente a percuotersi e a mordersi: iracondi, ancora furibondi gli uni con gli altri. In mezzo a loro, sepolti dalla melma, gli accidiosi, che frenarono esteriormente l’ira, serrando i rancori dentro di sé. Sulla cima di un’alta torre compaiono fiammelle a cui rispondono altre fiamme: i segnali che i diavoli si scambiano per chiamare uno di loro che sta giungendo, velocissimo, a bordo di una barca: Flegias, che Virgilio apostrofa e costringe a prenderli a bordo. Il nome richiama il greco “phlego” e il latino “flagro”, che indicano l’atto dell’incendio, infatti Flegias è emblema di un’ira fulminea e deflagrante.

Grillo Giovanna Diletta: Dante e Virgilio incontrano Ulisse e Diomede avvolti da lingue di fuoco, Inf. C. XXVI – disegno eseguito con la tecnica dell’acquerello – cm 29,7×42

Esegesi: siamo nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio ove sono i consiglieri di frode, le cui anime sono avvolte dalle fiamme. Tra questi Dante e Virgilio incontrano Ulisse, reo di aver trascinato nel suo “folle volo” attraverso le colonne d’Ercole, limite invalicabile dell’uomo, anche i suoi compagni. Ulisse racconta la sua ultima avventura, che non è tramandata dalla tradizione classica dell’Odissea che Dante non conosceva direttamente, ma da una tradizione secondaria medievale. Ulisse è avvolto in una fiamma insieme a Diomede, poiché insieme hanno ordito l’inganno del Cavallo di Troia.  Alcuni studiosi hanno visto un parallelismo tra il viaggio di Ulisse, verso la montagna del Purgatorio e il viaggio di Dante, che proprio verso il Purgatorio si sta dirigendo.

Pontoriero Emanuela: Le tre Furie e la minaccia di Medusa Inf., Canto IX – Disegno a matita colorato con matite pastello, cm 29,7× 42.

ESEGESI: Siamo nella diabolica città di Dite, cinta da alte mura. Lo sguardo di Dante è attirato sulla cima dall’apparizione delle tre Furie infernali, sporche di sangue e coi capelli serpentini. Virgilio le riconosce subito e spiega che quella a sinistra è Megera, quella a destra è Aletto e Tesifone è al centro. Esse si squarciano il petto con le unghie, si percuotono a palme aperte e gridano così forte da indurre Dante a stringersi a Virgilio. Tutte invocano l’arrivo di Medusa per pietrificare Dante, quindi Virgilio lo esorta a voltarsi e a chiudersi gli occhi con le mani per non vedere la Gorgone.

Reportage a c. della Prof.ssa Preta

e dell’allievo Gianluca Porcelli (classe V B Liceo Classico Vibo Valentia)