“Matilde” di Daniela Rabia: ciò che mi ha colpito -Titti Preta

Recensione della scrittrice Titti Preta

 

“Matilde” di Daniela Rabia

Un moderno “Vindica te tibi” senecano: manuale di sopravvivenza e resistenza per le donne di oggi in Calabria.

 

 

E’ un racconto di 100 pagine, intriso di vellutato lirismo, soffice solo all’apparenza.  Suaviter in modis, fortiter in re, diremmo alla maniera classica.

In sostanza, infatti, è per me un robusto manuale filosofico sull’arte del vivere, in cui il viaggio assume il compito di scoperta del mondo e formazione di un io mai concluso.

Mi è apparso altresì come un Baedeker filosofico, quasi il taccuino da tasca che descrive mirabilia nostrane. Direi l’estrema realizzazione di un Tour elegante che si fa diario.

Non è una pastiche letteraria, ma ha un progetto mirato e sempre scrupoloso. Nessuna improvvisazione, ma tanto “studium” direi. E labor limae, nessun avventurismo.

La protagonista, alter ego dell’autrice, ha qualcosa di ineffabile, e lo si evince dal nome, che riporta a R. Dahl.

Matilde” è stato uno dei libri che lessi a voce alta ai miei tre figli, un classico irrinunciabile per me, che credo moMatilde1964927_10203155953369354_1249421259_nlto nella lettura di opere dell’infanzia attraverso la voce dei genitori.

Come la bambina creata dal famoso scrittore, la “nostrana” Matilde possiede qualcosa di magico, è curiosa e ama leggere e guardare oltre l’apparenza.

Ilde – sintetizza il nome per confidenzialità – non è più una bambina, ma una ragazza cresciuta, una single, una grande osservatrice, una filosofa di sé, piena di fantasia. La Calabria fu patria della filosofia, anche se ormai oggi siamo indegni discendenti di Pitagora e compagni.

Matilde è poi frugale come può esserlo chi si accontenta intellettualisticamente di poco, e non rinuncia a una parete tappezzata di libri.

Matilde ci ammonisce a cogliere l’attimo con saggezza oraziana perché Tempus fugit: la vita non ti aspetta, ci dice. E… labuntur anni, fugaces.

Non solo Orazio vi ho riscontrato, ma soprattutto Seneca, il filosofo antico più moderno e controcorrente.

  Qual è l’ingaggio dell’opera? Il fatidico bilancio della vita: Ilde a 40 anni vive il suo momento critico, che per molte si traduce nel panico.

Per lei, un punto di svolta, perché decide di scegliere di fare ciò che piace, visto che il tempo e le energie le scarseggiano.

E così ripensa a tutte le sue “sliding doors” chiedendosi: “E se non avessi aperto quella porta…?”

Poi ode il monito senecano: “Vindica te tibi”: e si riappropria del suo tempo, della sua vita, si rimette in gioco e in moto e va…: ed ecco che ci appare una piacevolissima Calabria “da cartina”, quasi on the road o coast to coast: moderna, anticonvenzionale, sincera, viva.

  Iter sui luoghi, quasi guida turistica diventa il romanzo-diario: Placanica, Maida, S. Andrea, Nardodipace, Monte Paone, Tiriolo, Torre Ruggero, Cropani, Gasperina, Montauro, Squillace, Satriano, la zona dell’Istmo … e poi Riace, famosa per i Bronzi e per l’accoglienza ai profughi.

C’è in Matilde l’interesse tipico di chi ama i Beni Culturali, l’ho notato dalle descriptiones loci e dall’attenzione ai particolari storici, come gli stemmi gentilizi.

In lei palpita pure l’anima mundi del Gran Bosco d’Italia, la Sila, con una sacralità del bosco tipica da anima celtica, perché la Calabria è pure druidica con le sue querce secolari e alita di un soffio nordico.

In “Matilde” – che io pensavo libro squisitamente “al femminile” –  ho visto una miriade di borghi bellissimi dal respiro antico.

E Ilde chiude gli occhi e si sente ovunque, un po’ cosmopolita, pur stando in Calabria.

A Pietragrande c’è la sua casa delle vacanze, immancabile per molti calabresi benestanti: tornarvi significa affrontare ricordi e riscoprirsi bambina.

Viaggiare è scoprire e scoprirsi: non posso non ricordare il grande Vate Viaggiator per antonomasia: Dante (pag. 109).

In questa paeregrinatio un po’ reale un po’ metafisica, Ilde si sente “un papavero rosso nel campo di grano”: metafora del suo essere. Una “diversa” che la differenza vuole farla, pur nell’omologazione di oggi.

Un esempio su tutti per distinguersi e pensare con la sua testa? Mantenere la taglia 42 per evitare dispendiosi cambi di guardaroba.

E’ la sua una dissidenza non sofferta, ma caparbia, com’è tipica dell’anima calabra.

Matilde è una giovane donna politically correct, che dà uno sguardo disincantato alla realtà consumistica, digitalizzata e svuotata di sentimenti, dalla quale si dissocia, alla maniera quasi erasmaniana.

Dovremmo elogiarla per la sua “follia”, perché saranno i folli come lei a salvarci? Direi di sì.

Matilde è dunque una donna moderna, già emancipata, che non ha bisogno di lotte per affermarsi, vuol solo dare una svolta alla sua vita. Il femminismo ormai non ha più ragion d’essere.

Prima cosa: effettuare il taglio dei capelli, simbolico momento di passaggio che scandisce una nuova iniziazione.

Secondo passo: compiere il viaggio, quasi alla stregua di un “Pausania in gonnella” che annota tutta la sua Periegesi della Magna Grecia d’oggi.

La Calabria: una regione fallita dove la bellezza che fu è velata dall’abbandono e dall’incuria. Ma per Matilde “solvitur ambulando”, ossia il cammino fa riconquistare il senso della vita, un po’ come Ulisse che viaggia senza una mèta, pieno di curiosità.

E le appare la Dea Natura, la Natura naturans, con le sue pietre che parlano, perché hanno un’anima e una loro armonia.

Tante le soste in questo pellegrinaggio morale, una mi ha colpito: quella al santuario, che impone una sosta, dal latino sisto: sto e penso. E prego: non c’è posto per la prece coreutica, da coro greco, ma per quella solipsistica e cristiana in senso vangelico.

Il suo viaggio catartico è costellato di riflessioni filosofiche che spaziano da Democrito a reminescenze di Lucrezio… al punto da chiederci se sia epicurea e il suo “Vivi nascosta” (Il Lathe biosas) non sia che una ricetta per la felicità in un mondo fatuo in cui tutti sono alla ricerca dell’apparire più che dell’essere.

La filosfia salverà il mondo: quando in Matilde qualcosa cambia e la sconvolge, ecco che scomoda il clinamen democriteo.

Il magico moto degli atomi le crea un materialismo sensitivo: solo attraverso i sensi si conosce. Così scocca l’amore, come una scintilla. E l’amore è un rosso papavero.

 

La scrittura di Daniela Rabia sa farsi descrittiva quando si tratta di far parlare i luoghi che la scrittrice sente molto vicini.

La Calabria è la protagonista del libro: una terra di contrasti, che non illude. Mistica e indifferente, dalla forte interiorità, duplice col suo Bene e il Male, il mare e i monti, il Paradiso e l’Inferno.

Prima che realtà fisica, essa è dimensione dell’anima. E’ regione di paesi, non di città, che sembrano “amici che si salutano”.

Mi ha aggredito dolcemente la carica riflessiva della sua “personaggia”, il Matilde-pensiero, con la sua fisiologia dell’essere e il valore sociale dello scrivere, caratterizzato da tensione etica, non solo da evasione e leggerezza.

La scrittrice è una privilegiata, perchè col suo “occhio clinico” osserva dalla specola il mondo e le basta anche un particolare (per es. una semplice fontana) per metterle in moto il cervello.

Cos’è la vita per Daniela/Matilde? Un viaggio “circolare” ossia perfectus, compiuto, che conduce al bene e all’amore.

E’ il suo un libro dotto, ricco di citazioni o allusioni che chi sa può cogliere più profondamente.

Prodotto accurato, per “lettori consapevoli”, come dire: Parlo a chi sa. Per es, a pag. 38: “e fu subito sera”, clausola fulminea da Quasimodo.

Ma davvero solo chi è esperto e mastica la letteratura capirà? E’ questo che vuole la scrittrice? No, perché non adempierebbe al suo compito.

Chi non sa, impara: magia della scrittura, democratica ed elitaria nello stesso tempo.

Mi sono chiesta se questo sia un libro senza trama, intesa come concatenazione delle azioni: è infatti un dialoghos dell’anima, un manifesto di idee con un andamento franto, volutamente spezzato con un circuito di idee che si inseguono e volano alte: altro elemento empatico e magico di questa favola moderna di Matilde, in cui non c’è posto per principi azzurri su cavalli bianchi.

In ordine sparso, vi ho riscontrato innumerevoli pillole di saggezza, che mi hanno arricchita.

Come quelle sull’Amore, inteso platonicamente come “la ricerca dell’altra metà” (non a caso viene citato il famoso film “Lady Hawke”).

Infatti Matilde, la “non-principessa” ora “balla da sola” (per citare Bertolucci): riecco il solito papavero che emerge in un campo di grano, nella sua perfetta solitudine.

E la sua fuga di pensieri divien flusso di coscienza, ininterrotto con un andamento riflessivo di discorso libero indiretto, tipico di chi pensa troppo. Ma non è il raziocinio freddo ed espositivo che allontana, ma il pensiero caldo e ricco di humanitas che avvicina.

Una gnomica sussurrata quella di Daniela/Matilde, che riprende frasi paterne dal valore quasi oracolare.

Un papà assente e presente, che chiama la sua Ilde “Il mio papavero” e a cui è indirizzata un’epistula, suggello scritto che fa da testamento spirituale al libro.

Una chiusa significativa e altisonante, alla maniera classica, raffinata e coinvolgente, come lo è tutta l’”Operetta Morale” che per me è “Matilde”. Grazie di avermi emozionata dalla prima all’ultima pagina.

Prof.ssa Titti Preta