Recensione dal vivo della prof.ssa T.Preta di “Terra mia. Non è un Paese per santi”

“Instant writing” – Recensione dal vivo del Docufilm “Terra mia, non è un Paese per santi” di Ambrogio Crespi

 

“Restare, resistere, sognare”

A cura della prof.ssa Titti Preta con la classe 4 A del Liceo Classico M. Morelli Vibo Valentia – Indirizzo della Comunicazione Giornalistica

Il regista Ambrogio Crespi 

 

La Preside Mimma Cacciatore 

Il massmediologo Klaus Davi 

 

Il giornalista Michele Inserra 

 

Un film liturgico di speranza e resurrezione, in cui “Svegliarsi”, infinito dal valore imperativo, funge da esergo nel progetto di rinascita in una terra dannatamente bella: la Calabria, il confine estremo della civiltà occidentale. “Hic sunt leones”: le parole di Tacito, per indicare il limite dell’ecumene, diventano il simbolo dell’abbandono e della lontananza: San Luca.

San Luca è un “tòpos/ou tòpos”, cioè un luogo/non luogo, una terra da evitare. Oggi è la capitale del male, e insieme la terra degli ultimi, dei reietti, degli incivili. Lanciare un urlo da qui ha un valore aggiunto.

Per dare voce a chi non ne ha, il regista ci offre quelle dal vivo di gente disillusa e impaurita, ci provoca con le immagini della Strage di Duisburg del 2007, che fecero balzare San Luca agli onori della cronaca mondiale.

Eppure, San Luca è una gemma incastonata nell’Aspromonte, “la montagna della ‘ndrangheta”. Si entra nella Locride, signori, il feudo impenetrabile della mafia!

E poi, ecco le voci dei mass media, un turbinio di notizie che ci aggredisce e fa paura.

E poi, le voci dei giusti e degli ingiusti, che in Calabria convivono non certo pacificamente.

E poi, le voci dei proclami politici, delle minacce non velate, delle esortazioni sofferte e vere.

E, su tutte, la voce di papa Francesco Bergoglio in visita in Calabria,  e che ne dispregia il suo peggior prodotto: la ‘ndrangheta. Essa ha un regno: San Luca.

Il comandante dei carabinieri Cosimo Sframeli 

 

 

Inizia la teoria dei testimoni, che danno corpo e anima al film.

Il massmediologo Klaus Davi, che sceglie San Luca e prova a rivoluzionarlo, candidandosi come sindaco. Lui ama la Calabria, le sue acque cristalline che nascondono il male ed ha avviato la sua sfida da una polis piccola, da cui salvare un mondo.

Sulle note di un rap napoletano, si avvia il connubio ‘ndrangheta/camorra, altro fil rouge del docufilm.

 

E si arriva a: “I 20 passi di Gaetano Saffioti”, imprenditore edile e testimone di giustizia a cui la mafia tentò di uccidere passione ed entusiasmo, senza riuscirci. Conobbe mafia a otto anni: “Fatti i fatti tuoi che campi 100 anni” era il refrain della sua piccola vita. Ma il mito di Falcone era forte. L’alternativa di andar via per essere libero su di lui non attecchì. Lui non era codardo e andò da Roberto Pennisi con cui collaborò, con prove inconfutabili in mano: i filmati dei ricatti. La prima operazione, nome in codice “Tallone di Achille”, fu eclatante e decretò la scelta di rimanere, seguita da altre 4 operazioni con 250 persone arrestate e 800 milioni confiscati. Oggi Gaetano vive blindato e percorre solo 20 passi: quelli che separano casa sua dalle amate macchine di lavoro, con cui partecipò a “Scommettiamo che?”, famoso game-show di Rai 1 negli anni 80/90.

 

Si passa poi a Cosimo Sframeli, il carabiniere che fu testimone dei sequestri degli anni 80 come quello di Marco Fiora, nascosto per due anni in una buca e che traccia la sua microstoria personale della mafia.  Colpisce il suo ricordo di Carmine Tripodi, il carabiniere ucciso perché scomodo. Carmine stava per sposarsi, ma fu ucciso a Bianco.

34 anni dopo, “un tempo lungo e breve”, la donna che avrebbe dovuto essere sua moglie ne custodisce la memoria, ne anima il ricordo collettivo. Perché in questa terra il silenzio uccide più delle pistole.

 

Storie di re-stanza, ma soprattutto di re-silienza, come quella della “Preside-Coraggio” Mimma Cacciatore, che rappresenta un sud diverso, che vuol restituire bellezza al degrado e all’inciviltà proprio a San Luca, in una scuola/non scuola, priva di servizi, di sussidi, di banchi. Di un’anima. E lei gliela ridà. Con la caparbietà di una donna vera, fiera delle sue radici. A testa alta, sfidando le istituzioni e la forma mentis, preoccupandosi dei bambini, i figli dei detenuti che sfogano il loro dramma nelle aule, distruggendole. Il Miur, soprattutto le donne del Miur, la sostengono, come solo le vere donne sanno fare.

I ragazzi di San Luca, grazie a lei, ritornano vivi, colorano, ricreano, trasformano. L’idea di Mimma è di riciclare i banchi rotti per mutarli in opere d’arte. Dal degrado alla bellezza. Annullare il brutto attraverso la cultura e fare dono del bello ricreato. Non c’è testimonianza più degna.

Mimma fa suo il diktat di Falcone, che sin dagli anni 80 assegnava alla scuola il ruolo di presidio contro la mafia. Perché nessun bambino nasce delinquente, lo diventa.

Ed ecco “La scuola che vorrei”, attraverso la voce dei bambini di San Luca, con una lettera meravigliosa in cui si evince che vivere a San Luca non deve essere una tara. Perché qui c’è la casa natale di Corrado Alvaro. Il suo archivio, le sue carte, il suo mare, la sua montagna… senza i quali non sarebbe stato uno dei più grandi scrittori del 900.

I ragazzi sono il presente. Devono trascinare. Essere attori della lotta alla mafia. Non oggetti passivi, ma fautori del cambiamento. La scuola è un viaggio verso la bellezza.

Nel 2014 Mimma con 12 bambini è accolta dal papa. 12 come gli apostoli. L’onore si trasferisce con la cultura, con un caleidoscopio di colori che è un arcobaleno di speranza. Voce che rimane, quella di Mimma Cacciatore.

 

 

Il viaggio del regista, condotto alla maniera pasoliniana, continua.

In modo apparentemente impersonale e distaccato, perché parlino le immagini.

La fiumara di San Luca scorre e trascina le sozzure della mafia che devasta i paesaggi, li modella a suo piacimento.

Oppure la mafia espatria fino alla Germania, a Duisburg. Da un uovo marcio lanciato tra ragazzi nasce una faida sanguinosa che sfocia nella strage del 2007.

Le immagini della religiosità popolare, quasi primitiva da queste parti, sentita in questi paesi della Locride ed usata a fini impropri dalla mafia: la processione della Madonna, il fuoco sacro, il Christus patiens. Patimenti religiosi e reali, ma anche intoccabilità e divina indifferenza dei santi. Indifferenti come l’Aspromonte, parco della bellezza, che è pure luogo di smaltimento di rifiuti. Una discarica abbandonata su cui manca un piano di monitoraggio serio. È la mala gestione dei rifiuti: chi ha smaltito? E cosa? Sono rifiuti urbani o no? Se lo chiede il giornalista impegnato e schierato contro la mafia, se lo chiede il sindaco antimafia. E la gente del luogo/non luogo, di San Luca… se lo chiede? O accetta di morire avvelenata da rifiuti tossici?

 

Accanto alla Calabria, la Campania, la camorra.

La voce di Don Merola, la sua Fondazione ‘A voce delle creature” sequestrata a Raffaele Brancaccio, dov’era la sua “villa di bambù”. A Napoli si deve partire dai 200 bambini lì presenti, dalla testimonianza di chi lotta ogni giorno, denuncia, collabora. Non si può essere un Cristo in croce. Qua occorre battersi a viso aperto.

Come Michele Inserra, giornalista d’inchiesta, e Benedetto Zoccola, testimone di giustizia, che incontrano l mafia dei colletti bianchi e sanno che devono regalare un futuro diverso ai loro figli.

Perché occorre far vivere il sogno dei giovani di essere liberi nella propria terra.

 

Prof.ssa M.Concetta Titti Preta 

 

2 Risposte a “Recensione dal vivo della prof.ssa T.Preta di “Terra mia. Non è un Paese per santi””

  1. Una perfetta recensione del docufilm “Terra mia”. Espone ed analizza ogni singolo aspetto portato avanti dai personaggi. Ottimo lavoro della mia professoressa Titti Preta!

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